Popilia Japonica, l'insetto che devasta i raccolti

Gli agricoltori italiani sono alle prese con una nuova minaccia: si tratta della Popilia Japonica, una specie aliena invasiva che distrugge i raccolti.

popillia-japonica

Credit foto
©Ryan Hodnett/123rf.com

 

Cos’è e come si riconosce la Popillia Japonica

Il suo nome scientifico è Popillia Japonica ma è noto, più semplicemente, come coleottero giapponese. Si tratta di un insetto dal corpo ovale, di colore verde brillante con le ali (elitre) color bronzo o rame. L’esemplare adulto è lungo da 8 e a 11 millimetri, largo da 5 a 7. 

 

Nella parte inferiore dell’addome ha ciuffetti di peli bianco-grigiastri, visibili a occhio nudo, che le specie nostrane di scarabei non possiedono. Le sue antenne sono ripiegate o nascoste: su di esse compaiono però delle lamelle (simili a petali di un fiore) se l’insetto percepisce dei feromoni o altri odori forti.

 

Nelle zone dove il clima è più caldo, il coleottero giapponese emerge dal terreno a partire dalla metà di maggio. Dove il clima è più freddo, invece, bisogna attendere l’estate (giugno-luglio).

 

I danni all’agricoltura provocati dal coleottero giapponese

Questa specie si distingue perché è altamente polifaga. In termini più semplici, si nutre di foglie, fiori e frutti di una grande varietà di piante, dalla vite agli alberi da frutto come il nocciolo, il pesco e il susino. La si trova anche nei campi di mais e soia

 

Una foglia infestata dalla Popillia Japonica si riconosce perché viene privata della lamina: ne restano soltanto le nervature che, nell’arco di poco tempo, di solito si imbruniscono per poi cadere. I danni per le coltivazioni agricole possono rivelarsi drammatici. Negli Stati Uniti, dove l’insetto è presente e diffuso, il conto da pagare si aggira sui 460 milioni di dollari all’anno. 

 

Non è un caso se, quando la Popillia Japonica si è insediata anche nel Vecchio Continente, le autorità dell’Unione europea l’hanno catalogata tra gli organismi nocivi da quarantena, insieme alla Xylella fastidiosa nota per aver devastato gli ulivi del Salento (l’elenco completo si trova nell’Allegato II, parte B, del Regolamento Ue 2019/2072).

 

Come combattere un’infestazione da Popillia Japonica

Nel 2014, non appena la Popillia Japonica è stata trovata per la prima volta nel Parco del Ticino, i servizi fitosanitari hanno dato il via a monitoraggi annuali su tutto il territorio italiano. Sono così riusciti a isolare l’area del focolaio: si trova soprattutto tra Lombardia e Piemonte, ma tocca anche l’Emilia-Romagna e la Valle d’Aosta.

 

A livello nazionale è stato istituito un tavolo tecnico-scientifico e sono state definite le misure per la lotta a questo insetto infestante, contenute nell’apposito decreto ministeriale del 22 gennaio 2018.

 

Periodicamente, le regioni coinvolte indicono bandi per sostenere le aziende agricole e vivaistiche che devono comprare reti anti insetto e altri dispositivi: uno degli ultimi in ordine di tempo risale al 2022 e mette a disposizione più di 800mila euro, stanziati dalla regione Piemonte.

 

Gli agricoltori hanno a disposizione due tipi di trappole. Quelle a cattura sono barattoli gialli e verdi con apposite ali che attirano i coleotteri. Poi ci sono altre trappole costituite invece da un treppiede che custodisce un attrattivo ed è ricoperto da una rete spruzzata di insetticida: in questo caso i coleotteri giapponesi assorbono una minima quantità di veleno e muoiono dopo poco tempo.

 

Entrambe le tipologie sono efficaci, ma vanno maneggiate soltanto da personale esperto, munito di un’apposita autorizzazione. Il rischio infatti è quello di attirare anche altri insetti da centinaia di metri di distanza, con ulteriori danni per le coltivazioni.

 

Attraverso il progetto IPM Popilia, il Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria) si è messo all’opera per trovare metodi di contrasto che siano al tempo stesso efficaci e sostenibili in termini ambientali.

 

Perché le specie aliene invasive sono un problema

Fino a un decennio fa, un agricoltore italiano non avrebbe saputo nemmeno riconoscere la Popillia Japonica. Per il semplice fatto che, nel nostro Paese, non esisteva

 

Come suggerisce il nome, infatti, è originaria del Giappone; è molto diffusa anche negli Stati Uniti, ma per lungo tempo in Europa si è insediata soltanto nelle Azzorre. Nell’estate del 2014 è stata trovata per la prima volta in Italia, per la precisione nel Parco del Ticino. È iniziata così un’infestazione che è costata così tanto in termini economici e naturalistici.

 

Questa è l’ennesima dimostrazione di quanti danni possano fare le specie aliene invasive, cioè quelle che vengono trasferite dall’uomo (volontariamente o accidentalmente) all’interno di un habitat diverso da quello di provenienza. Così facendo sconvolgono i suoi equilibri e compromettono la biodiversità, la salute umana, i servizi ecosistemici e l’economia che si regge su di essi.

 

Altre specie aliene invasive

Ecco qualche altro esempio di specie aliene invasiva:

  • In Lombardia e Piemonte è arrivata l’Ambrosia artemisiifolia, una pianta di origine americana fortemente allergizzante.
  • La zanzara tigre fino agli anni Settanta esisteva quasi solo nel sudest asiatico: nell’arco di pochi decenni si è diffusa in modo incontrollato in tutt’Europa.
  • Nel 2020 la cimice asiatica ha invaso il nord Italia, provocando oltre 300 milioni di euro di danni alle coltivazioni ortofrutticole.
  • Il giacinto d’acqua è una pianta galleggiante esteticamente meravigliosa. Nella sua zona d’origine, l’Amazzonia, viene tenuta sotto controllo da un particolare lamantino che se ne nutre. In altri ecosistemi invece risulta deleteria perché ricopre interi specchi d’acqua dolce, facendo morire le specie acquatiche, rendendo la navigazione impossibile e favorendo la diffusione della malaria.
  • La nutria (Myocastor coypus) è originaria del Sud America, ma alla fine dell’Ottocento si è iniziato ad allevarla anche in Europa per la sua pelliccia. Venuto meno l’interesse commerciale, molti animali sono stati liberati e si sono riprodotti fino a diventare infestanti. Oggi minacciano la vegetazione acquatica e la stabilità degli argini.