Intervista

Respirazione olotropica, intervista a Elisabetta Corbieri

Cos’è la respirazione olotropica e come può permettere alla coscienza di evolvere e aprire canali percettivi? Cosa succede davvero a un seminario della tecnica messa a punto da Stanislav Grof? Intervista a Elisabetta Corbieri.

Respirazione olotropica, intervista a Elisabetta Corbieri

Paziente, capiente, amorevole, viva. Quando incontri Elisabetta Corbieri ti arrivano queste sensazioni. Ma soprattutto si percepisce a pelle la bellezza di avere davanti qualcuno che non ritiene di possedere scettri o detenere sfere di cristallo.  

Questa intervista ha avuto luogo su un prato, in presenza del sole e di qualche albero che ci ha concesso respiri più profondi. E’ proprio dalla respirazione che siamo partite, dal momento che Elisabetta, unitamente all’attività di psicologa e psicoterapeuta, porta avanti seminari di respirazione olotropica dal 2001.

Dopo la laurea in psicologia, ha conseguito la specializzazione in psicologia clinica all’Istituto di Psicologia Clinica della facoltà di Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Siena. Ha lavorato per alcuni anni in un Centro di Igiene Mentale di Roma e all’Istituto di Psicologia Clinica di Siena, in diversi Istituti Superiori di Roma con progetti di Educazione alla Salute e di prevenzione del disagio psicologico anche sul web. 

Dal 1994 lavora privatamente come psicoterapeuta di formazione junghiana. Nel 1999 viene a conoscenza dell’esistenza della tecnica Olotropica ed entra in contatto con il GTT (Grof Transpersonal Training) negli Stati Uniti presso il quale ha conseguito la formazione e l’abilitazione alla terapia Olotropica.

Fare esperienza di questa terapia è una cosa, leggerne un'altra, senza eccezione per questo articolo. Va almeno chiarito che la tecnica è stata riportata alla luce da Stanislav Grof, psichiatra di formazione freudiana che mise a punto la tecnica a partire dai suoi studi sul ritrovato psichedelico conosciuto come LSD.

Se riprendiamo le parole di Grof: “Scoprii che in America – prosegue Grof – Freud e la mistica non davano problemi, ma che per l’Lsd si andava in galera, come Timothy Leary”. Così, lo psichiatra di Praga elaborò una serie di tecniche, dette “olotropiche” (che significa “verso la totalità”) e basate sulla respirazione, in grado di provocare "stati di coscienza non ordinari.” (citazione tratta da un articolo apparso sul Corriere della sera, 15.4.00, di Cesare Medail). 

Per partecipare al seminario si compila una scheda con informazioni fondamentali sullo stato di salute, si fa un breve incontro o colloquio con Elisabetta. L’esperienza dura due giorni, in uno dei si respira e nell’altro si assiste un altro membro del gruppo. Durante i due giorni di lavoro la coscienza cambia mediante l’uso combinato della respirazione accelerata, di musica evocativa e di un lavoro sul corpo per liberare le eventuali energie bloccate.

Il lavoro permette di accedere a nuovi livelli di comprensione di se stesso e della realtà, attingendo alle proprie potenzialità creative, evolutive e spirituali. 

Ho scelto di intervistare Elisabetta perché posso dire per diretta esperienza che nei suoi seminari lei diventa cura, forza, grazia, ascolto. Danza con immensa presenza e si muove con i sensi attivi tra i partecipanti, mantenendo l’osservazione vigile, l’attenzione divisa. Ci si sente al sicuro. Qualcosa si predispone al rituale. Nella stanza si pongono naturalmente in essere le condizioni per andare in profondità. 

 

Tenere i seminari di respirazione olotropica richiede una presenza notevole, mi è parso. Hai da sempre questa capacità? È mai subentrata paura?  

Quando ho iniziato ero di certo più insicura, stavo molto più attenta anche alle persone che accedevano ai gruppi. Adesso la gestione è più immediata, riesco a muovermi bene anche tra le varie sensazioni, ad esempio di dolore o soffocamento, che si vive chi partecipa. 

 

Una persona partecipa a un seminario di olotropica poi torna al ritmo incessante della “crisi”, alle sollecitazioni apparenti, alle persone, alla tecnologia. Come si concilia questa era frenetica con la ritualità insita nell’esperienza dell’olotropica? Come si custodisce il cambiamento profondo che questa tecnica innesca?  

A me sembra che molto lentamente le cose stiano un po’ cambiando.

Forse proprio la pressione forte data dai ritmi forsennati si affianca a un bisogno sull’altro versante della ricerca interiore, in merito alla disponibilità delle persone a cercare qualcosa che le aiuti.

Sicuramente qualcosa sta cambiando; anche da un punto di vista di accettazione teorica rispetto alla respirazione olotropica. Intendo dire che c’è maggiore apertura rispetto al fatto che si lavora attraverso stati non ordinari di coscienza. 

 

Parliamo di crisi di astinenza dall’olotropica. Frequento un seminario di olotropica, entro di più nel mondo interiore, sviluppo una dipendenza e mi iscrivo a tutti i seminari previsti nel calendario. Ti sono capitati questi casi?  

Ne ho avute di persone entrate “in fissa”. Però poi a un certo punto smettono di venire. Alcuni sono costanti nel tempo, ma sanno quale cadenza dare e questo è un discorso diverso, consapevole. Altri si iscrivono a tutti i seminari ma poi, alla lunga, non vengono più.

Nell’olotropica tendo a lasciare alquanto libere le persone, anche perché molte non le seguo in terapia e non c’è poi un confronto in questo senso.

La cadenza delle sessioni la decide chi fa l’esperienza e la frequenza quindi si lega all’importanza di un lavoro personale.

 

A chi pensa di poter risolvere tutti i disagi con qualche seminario di olotropica cosa rispondi?  

Non credo nelle strade brevi. Va bene, in casi sporadici possono verificarsi “miracoli”, diciamo così, ma ecco io non credo nelle strade dove non via sia un lavoro e un processo profondo di un qualche tipo.

Soprattutto non credo nelle strade dove si presume che qualcuno o qualcosa faccia per te il lavoro e la presunta guarigione implicherebbe mettere la vita nelle mani di un altro individuo.  

 

L’anno scorso, dopo aver fatto la prima esperienza dell’olotropica, mi capitò di parlarne con una neuropsichiatra che non ne aveva esperienza diretta, solo qualche nozione letta qui e là. Menzionò il rischio di una possibile dipendenza dagli stati alterati di coscienza. Per dirla più semplice: divento tigre durante la respirazione olotropica, poi resto intrappolata in questa esperienza e perdo lucidità immedesimandomi troppo in quella sensazione vissuta. Che mi dici al riguardo? 

Ne ho visti tanti prendere forme animali e non solo, anche tra quelli che seguo in terapia, e non mi pare sia mai accaduto nulla di tutto ciò. Può essere accaduto che una persona che durante la respirazione si fosse “accartocciata”, contorta fisicamente e risentisse nei giorni successivi di qualche contrattura muscolare, ma è una risposta fisiologica normale.

Ovvio che la lettura di quello che accade dipende dal grado di consapevolezza. Può succedere che “diventi” tigre durante la respirazione - in molti casi nell’olotropica si rivivono condizioni animali - e ti vivi il potere di quell’animale, che prendi coscienza di come questa forza abiti in te. Contatti quel tipo di energia che poi puoi ritrovare nella tua dimensione interiore. 

Spesso mi son chiesta come mai tante persone finiscono nel regno animale, come è anche vero che tanti resoconti mi han fatto pensare all’evoluzione umana. Senza escludere anche l’evoluzione planetaria, visti resoconti di big bang, visioni stellari, sospensioni planetarie che rimandano alle ere storiche, al passaggio evolutivo. 

 

Sei specializzata in Sand Play Therapy, di che si tratta? 

Ci lavoro da 3 o 4 anni, relativamente poco. E’ una terapia che usa la sabbia come veicolo, elemento che ha notevole potere curativo e sviluppa varie possibilità creative. All’interno di una cassetta blu viene riposta della sabbia che poi nelle varie fasi viene anche bagnata.

Si mettono a disposizione del paziente degli oggetti e si danno piccole indicazioni, ma la persona opera in assoluta libertà espressiva, fermo restando che la sabbia non può essere buttata fuori dal contenitore. La sabbia ha a che fare col materno e negli anni il terapeuta impara a leggere bene i messaggi che la persona lascia.

Se vuoi, la sabbia è come un test di Rorschach; a chi ne ha esperienza e conoscenza consente di leggere cosa c’è nell’inconscio o perlomeno le dominanti, per gettare le basi di una diagnosi. Fino a qualche anno fa era una terapia molto usata all’Ospedale Bambin Gesù, con risultati impressionanti.

 

Insieme ai seminari porti avanti il tuo lavoro di psicologa. Il linguaggio è “latte scaduto” o è ancora uno strumento valido per aiutare sul versante umano? Davvero il disagio psicologico può ancora contare sull’aiuto verbale? 

Le parole sono la premessa necessaria perché la gente possa accedere a un livello di conoscenza. Diverse persone vengono da me e non hanno una cognizione propria del mio stesso mestiere, non sanno cosa faccia davvero una psicologa. A me non interessa lavorare lasciandoli nel buio, io spiego tanto, tendo la mano per mettere nella loro strumenti utili.

Ho lavorato molto su internet, in particolare su Psiconline.it, primo portale nato con lo scopo di fornire sostegno gratuito agli utenti. Mi confrontavo con domande di ogni tipo - l’anonimato consente di esprimere sensazioni ancora più particolari e intime - e anche in quei casi ho cercato di restituire un minimo di strumenti che potessero orientare gli utenti. 

 

Come si pone la respirazione olotropica rispetto alla meditazione? 

Non penso che si possa fare un discorso univoco. In linea di massima, penso di poter dire che il lavoro conclusivo dell’olotropica e le profondità che sono disponibili attraverso la meditazione possono portare a questa quiete insolita, potentissima.

Credo nel lavoro dell’olotropica si vada di più a “pescare” nel materiale psichico. Circa gli esiti delle due tecniche, ho esperienza di diverse persone che seguo in terapia le quali si son trovate a praticare meditazione usandola come un “tappo”, qualcosa che contiene, mette sotto, comprime.    

 

Ultima domanda. Lo psicologo è più paziente o capiente?  

Direi capiente. Credo molto nella possibilità di uno psicologo o di una psicologa di farsi capienti. E nell'amore, credo nell'amore. 

 

Cos'è la mente olotropica?