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Smontare l'idea di una industria del tabacco sostenibile

A livello globale, la produzione delle sigarette contribuisce al 5% della deforestazione globale e il loro ciclo di vita emette la stessa quantità di CO2 di 17 milioni di auto a benzina. Se è così, com'è possibile che le big del tabacco vantino le proprie performance di sostenibilità?

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©ruslanphoto2/123rf.com

Che il tabacco sia una delle principali minacce per la salute umana, ormai, appare quasi scontato. Per la precisione uccide otto milioni di persone ogni anno, di cui 1,2 milioni perché esposti al fumo passivo. Ma cosa sappiamo del suo impatto ambientale? È questo il tema scelto dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) per la Giornata mondiale senza tabacco 2022

 

I dati sono eclatanti e hanno suscitato parecchie polemiche. L’intera filiera produttiva delle sigarette (e di prodotti correlati), infatti, incide negativamente sul nostro pianeta, dalla coltivazione del tabacco fino alla fabbricazione e alla distribuzione delle sigarette; per non parlare del loro smaltimento. 

 

La coltivazione del tabacco sacrifica acqua e foreste

Andiamo per ordine. Le piantagioni di tabacco hanno bisogno di spazio, e per la stagionatura serve il legno. Spesso e volentieri, a farne le spese sono le foreste. In media, per confezionare 300 sigarette bisogna sacrificare un albero. Ogni anno 200mila ettari di terreno vengono consacrati a questo scopo, all’incirca come la superficie di Benevento. Ciò significa che la coltivazione del tabacco contribuisce al 5% della deforestazione globale, soprattutto in aree già critiche come l’America latina, il Medio oriente e il Sudest asiatico. 

 

Come se non bastasse, tale coltura richiede quantitativi d’acqua otto volte più ingenti rispetto a quelli consumati per coltivare patate o pomodori: si parla di 3,7 litri per il ciclo di vita di una singola sigaretta. Ogni anno la produzione globale di tabacco “beve” 22 miliardi di tonnellate d’acqua: sarebbero abbastanza per riempire 15 milioni di piscine olimpioniche. Per usare un altro termine di paragone, è 3,5 volte il volume d’acqua del lago Ciad.

 

Le emissioni di CO2 di ogni sigaretta

La produzione e il consumo del tabacco contribuiscono anche al riscaldamento globale. E in modo molto più rilevante di quanto si pensi. Una singola sigaretta, lungo il suo intero ciclo di vita, comporta il rilascio in atmosfera di 14 grammi di CO2. 

 

Questo quantitativo può apparire esiguo ma, se lo moltiplichiamo per le migliaia di miliardi di sigarette vendute nel mondo (sono più di 200 miliardi all’anno solo negli Usa) arriviamo allo stratosferico totale di 80 milioni di tonnellate di CO2 all’anno. Per avere un termine di paragone, è come se sulle strade circolassero 17 milioni di auto a benzina in più. 

 

Lo smaltimento di mozziconi e packaging

Tutto questo per produrre una sigaretta che viene fumata nell’arco di cinque minuti al massimo, avvelenando i polmoni e lasciando in eredità un mozzicone non biodegradabile. Ogni anno ne vengono gettati via 4.500 miliardi, che si degradano sotto forma di microplastiche che avvelenano gli ecosistemi; in particolar modo quelli marini e lacustri.

 

Come se non bastasse, i filtri rilasciano nicotina, metalli pesanti e altre sostanze chimiche tossiche e nocive. Tutto questo finisce negli stomaci dei pesci e quindi nei nostri, attraverso la catena alimentare.

 

Poi c’è il packaging. Tra pacchetti e scatoloni, ogni anno ne finiscono nella spazzatura almeno 2 milioni di tonnellate, cioè il peso di 9.433 treni merci.

 

E non dobbiamo pensare che le sigarette elettroniche risolvano il problema, anzi. Questi dispositivi infatti contengono metallo, plastica e batterie. È vero che l’impatto ambientale del loro smaltimento può essere quantomeno limitato conferendole correttamente insieme ai rifiuti elettrici ed elettronici (RAEE) quando non si usano più, ma ciò non toglie che siano rifiuti tossici pericolosi.

 

Cosa ci fanno le big del tabacco negli indici ESG?

Alla luce di questi dati, cosa ci fanno le big del tabacco nei Dow Jones Sustainability Indices, cioè gli indici borsistici che selezionano i titoli sulla base dei criteri ambientali, sociali e di governance (ESG)? E com’è possibile che l’autorevole organizzazione Cdp (ex-Carbon Disclosure Project) assegni una bella A- alle politiche sui cambiamenti climatici di British American Tobacco e addirittura A a quelle di Philip Morris International? 

 

Questo apparente controsenso è stato pesantemente criticato da alcuni attivisti. La spiegazione, spiega l’agenzia Reuters, sta nel fatto che queste piattaforme premino le politiche adottate dalle imprese per mitigare il proprio impatto climatico e ambientale, coinvolgere i loro fornitori e così via. Cosa che, effettivamente, molti colossi del tabacco stanno facendo. 

 

Questi sistemi, così come sono concepiti, sembrano però trascurare la sostenibilità del core business dell’azienda – le sigarette, in questo caso. Un punto debole che dovranno affrontare, se vogliono salvaguardare la propria credibilità.