Intervista

Scrittura creativa e inclusione: intervista a Francesca Frediani

La grande fabbrica delle parole è un progetto rivolto ai bambini al fine di fare integrazione, migliorare le conoscenze linguistiche e costruire ponti tra le culture. Francesca Frediani lavora da 10 anni per rendere i libri veicolo d'inclusione.

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Le parole di Francesca non volano con il vento. Seppur la sua voce leggiadra e frizzante richiami l’aria di primavera, un senso di radicamento greve e saldo giunge immediato quando le si chiede di raccontare il suo lavoro e la strada che l’ha portata fin qui, a celebrare il decimo anniversario del progetto La grande fabbrica delle parole

 

Francesca Frediani ha iniziato nel 2009 con Insieme nelle Terre di mezzo onlus a proporre il modello della scrittura creatura come modalità di laboratorio per bambini e ragazzi attivando strategie di inclusione, di coesione sociale e di incontro tra le culture. 

 

Il suo interesse per questa materia, però, arriva da più lontano. Nel tempo e nello spazio. 

 

Francesca, cos'è (per te) la scrittura creativa?

E’ una modalità nata in America di definire una scrittura che non sia già pensata per altri usi, come quello commerciale. Il senso della scrittura è l'essere raccoglitore, il luogo in cui nascono e si raccontano le storie. 

 

La scrittura è uno spazio in cui si può fare silenzio e spogliarsi delle cose che agitano la superficie del quotidiano e scoprire che dentro di noi ci sono storie che hanno voglia di essere raccontate. Questo vale soprattutto per i bambini con cui lavoriamo, perché sono bambini la cui voce non viene spesso ascoltata e noi diamo cittadinanza alla loro voce.  

 

Come ti sei avvicinata alla scrittura creativa e come hai portato questo progetto in Italia?

Nel 2003 è nato a San Francisco il primo progetto fondato da Dave Eggers, scrittore, e Ninive Callegari, educatrice: inizialmente si trattava di un doposcuola inclusivo per bambini il cui inglese era la seconda lingua. Nel tempo i centri di scrittura creativa sono giunti a 8-9 in tutta America. 

 

Poi ha seguito Dublino con Fighitng words mentre La grande fabbrica delle parole è stato il secondo progetto avviato in Europa. 

 

Terre di mezzo da 25 anni lavora per portare e raccontare le buone pratiche attraverso giornali, libri e altre iniziative volte a cambiare in meglio il mondo: ho incontrato questa realtà dopo un percorso che mi ha portato prima a seguire i corsi in Italia, all’Università di Siena in particolare, di Scrittura creativa. Erano anni in cui questa materia era nuova e non era facile trovare molti luoghi per approfondire. Ho proseguito, dunque, questi studi alla New York University

 

Inizialmente avevo un sogno diverso, volevo portare nel contesto accademico la metodologia e l’approfondimento sulla scrittura creativa ma proprio al ritorno dal mio viaggio negli Stati uniti ho avuto un incontro del “destino”

 

Mi hanno proposto di insegnare e ho iniziato alle superiori, in un professionale: qui ho vissuto un’esperienza bellissima, pur in contesto difficile. Ho incontrato classi che si sono appassionate all’Edipo Re e studenti che hanno imparato a confrontarsi con la cultura. Una mia studentessa si era innamorata delle poesie di Hikmet incontrate grazie a libri che lasciavo a disposizione per la lettura.  Glielo regalai pur sapendo che avrei dovuto trovare il modo per spiegare a mio marito che avevo donato a un’allieva il suo primo regalo fattomi quando ci siamo conosciuti. Comprese il mio gesto. 

 

Penso che sia possibile portare i libri in posti dove non arrivano, che sia preziosissimo e vitale e che sia anche un po’ all’origine del senso del fare cultura. 

 

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Come funziona La grande fabbrica delle parole?

Il progetto coinvolge soprattutto le scuole della città di Milano, seppur riceviamo richieste un po’ dal nord Italia. Ogni anno incontriamo circa 1000 bambini in età scolare offrendo laboratori gratuiti e lavorando con gli insegnanti sulle singole complessità delle classi. 

 

Ogni classe ha la sua complessità. Le nostre attività puntano sul concetto che ogni bambino ha una storia da raccontare e tutti abbiano il diritto di esprimerci. Le competenze linguistiche per chi ha l’italiano come seconda lingua possono essere stimolate con l’aiuto di tutor o con attività trasversali. 

 

Con il sostegno della Fondazione De Agostini, ad esempio, è nato “Andata e ritorno. I bambini raccontano Milano”. Dopo un laboratorio propedeutico sul senso del luogo e del raccontare, i bambini fanno un giro nei dintorni della loro scuola fotografando i luoghi significativi. A queste foto aggiungono le loro personali didascalie per un lavoro che sfocerà in una mostra da presentare a fine anno scolastico a tutta la scuola. Si tratta di un racconto corale dove i luoghi si trasformano in qualcosa di famigliare e attraverso le immagini possiamo sfruttare più linguaggi. 

 

In collaborazione con il Museo del Castello Sforzesco, invece, siamo riusciti a realizzare un laboratorio, “Musica del silenzio”, che includesse i bambini con disabilità uditiva. Nelle nostre attività, infatti, ci eravamo accorti che in alcuni casi proprio i bambini con disabilità non erano portati dalle scuole a partecipare. Abbiamo voluto, allora, fare un grande lavoro di studio per abbattere un muro che sembrava insormontabile, scoprendo che non esistono barriere che non possono essere superate.

 

Lavoriamo molto con le periferie, Leonardo Rasulo, coordinatore de La grande fabbrica delle parole, porta avanti un grande progetto di doposcuola in quartieri periferici e di case popolari, incontrando situazioni complesse. 

 

Al termine dei nostri laboratori i bambini escono con in mano un libro scritto da loro e con una soddisfazione, quella di aver prodotto una forma di cultura che sapranno riconoscere sentendosi parte di quel mondo. 

 

Come si sostiene questo progetto?

Una parte del lavoro è la raccolta fondi. La cosa bella è che alcune fondazioni ci hanno dato fiducia e chi desidera può sostenerci liberamente. Intorno a questo progetto collaborano un centinaio di volontari, non tutti attivi allo stesso modo ma in grado di creare una rete che ci segue e sostiene.

 

Ci sono appassionati di scrittura e illustrazione, ma anche liberi professionisti che ci aiutano per il tempo che possono dedicare. Il metodo della scrittura creativa è articolato e quindi, soprattutto all’inizio, è necessaria una presenza continuativa.  

 

E tu, dov’è diretta la tua attenzione?

Il mio obiettivo era portare la scrittura creativa a livello universitario ma la mia direzione adesso è questa: dove è possibile, fare inclusione attraverso la scrittura, è lì che voglio stare. 

 

La mia fortuna è che nonostante le fatiche comuni a tutti, vedo subito gli effetti di questo lavoro, quando sono stanca e guardo i bambini che ho di fronte, mi rispondo subito del perché sto facendo tutto questo. Oggi ho 40 anni e ho iniziato a 30. Posso dire che sto crescendo insieme a questo progetto.