Articolo

La qualità dell'aria negli edifici

Per noi ormai è inammissibile l'idea di ammalarci bevendo l'acqua di rubinetto. Perché mai dovremmo accettare il rischio di contrarre un virus dall'aria che respiriamo in ufficio o in palestra? Da qui l'appello degli scienziati per un cambio di paradigma in materia di qualità dell'aria negli edifici.

qualita-aria-edifici

Credit foto
©Dmitrii Shironosov / 123rf.com

Serve un cambio di paradigma

Da decenni siamo soggetti a normative molto precise e restrittive sui parametri fisici, chimici e batteriologici dell’acqua di rubinetto, o sull’igiene e sulla conservazione degli alimenti. Sulla qualità dell’aria negli edifici, però, la legge interviene poco o nulla.

 

Eppure, stiamo parlando di un tema cruciale per la nostra salute. L’abbiamo imparato a nostre spese in questo lungo anno e mezzo di pandemia da coronavirus, un agente patogeno che si trasmette proprio con il respiro. 

 

Su questo presupposto fa perno un articolo pubblicato dalla prestigiosa rivista scientifica Science. Un vero e proprio appello, firmato da 39 scienziati, per un cambio di paradigma nel modo in cui consideriamo e affrontiamo la trasmissione delle infezioni respiratorie

 

Qualità dell’aria negli edifici e Covid-19

Ormai sappiamo bene che il Covid-19 si trasmette nell’aria. Ma, di preciso, come? 

 

Secondo i Centers for Disease Control and Prevention statunitensi, al primo posto c’è il cosiddetto aerosol, cioè quelle piccolissime particelle che vengono emesse da una persona infetta e restano in sospensione nell’aria per diverse ore. Poi vengono i droplet, cioè le particelle più grossolane che possono raggiungere le mucose di un’altra persona a seguito di uno starnuto; essendo più pesanti, cadono a terra più rapidamente. La terza modalità è quella di toccarsi il naso, gli occhi o la bocca con le mani su cui si è depositato il virus (da qui la prescrizione di lavarle spesso e con cura). 

 

Un approfondimento pubblicato da Scienza in rete ci invita a tenere maggiormente in considerazione proprio il primo punto, l’aerosol. Il canonico metro di distanza, infatti, ci tiene ragionevolmente al sicuro dai droplet. Le goccioline più piccole però sono più insidiose, perché rimangono nell’aria e riescono addirittura a spostarsi.

 

Da qui la necessità – anzi, l’urgenza – di ventilare gli ambienti chiusi e, più in generale, di garantire una migliore qualità dell’aria negli edifici.

 

Come migliorare la qualità dell’aria indoor

“Non c’erano standard per l’acqua pulita fino al diciannovesimo secolo. Le persone accettavano il fatto che l’acqua potesse essere contaminata, o di potersi ammalare bevendo acqua. Così c’è stato un cambio di paradigma”, spiega Lidia Morawska, prima autrice dell’articolo su Nature, intervistata da Vox. “Il ragionamento è lo stesso: non dobbiamo accettare di ammalarci per i virus respiratori. Dovremmo fare qualcosa per evitarlo”. 

 

“Gli standard esistenti per la qualità dell’aria negli ambienti interni sono finalizzati a garantire il benessere termico e olfattivo degli occupanti e a limitare l’esposizione a composti chimici come benzene, monossido di carbonio, formaldeide”, ribadisce l’articolo su Scienza in Rete. A questi due grandi obiettivi bisogna aggiungerne un terzo: arginare il rischio di infezione da patogeni.

 

Esistono già alcune tecnologie utili, basterebbe adottarle su vasta scala. La più basica? Un display che mostra le concentrazioni di CO2 nell’aria. Se supera un certo limite, significa che la ventilazione è insufficiente. 

 

Una volta installate le tecnologie, bisogna stabilire i giusti parametri. Alcuni valori puramente quantitativi possono essere stabiliti a priori in base alle dimensioni dell’edificio e al numero di persone per metro quadrato.

 

All’interno di una biblioteca dove le persone stanno sedute alla loro postazione in silenzio, però, il rischio di contagio è molto diverso rispetto a quello di una palestra, dove si affannano sul tapis roulant. Diventa quindi necessario studiare sistemi di ventilazione flessibili, legati alle attività svolte all’interno di quello specifico edificio.

 

È complesso? Certamente. Ma, sottolineano gli esperti, è indispensabile se vogliamo “proteggerci da sofferenze inutili e perdite economiche”.