Sri Aurobindo

 

Sri Aurobindo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si ringrazia il Prof. Giuseppe Cognetti per aver concesso i preziosi contributi relativi all'opera e alla personalità di Sri Aurobindo.
I frammenti sono tratti da un intervento tenuto dal Docente in occasione di un incontro accademico dedicato a Sri Aurobindo svoltosi presso la Facoltà Siena il giorno 9 luglio 2005.

 

Le opere di Sri Aurobindo all'estero godono di molta fama e sono lette anche dai "non addetti ai lavori". In Italia il nome di questo illuminante autore risuona nei luoghi dove si pratica yoga e resta un po' confinato agli studi accademici. Un vero peccato, perché leggere e conoscere Sri Aurobindo è un'esperienza nel vero senso della parola, un passare attraverso qualcosa che può cambiarci, in meglio, ovvero nel senso dell'apertura all'altro e a se stessi. 

 

Sri Aurobindo (Calcutta 1872 - Pondichéry 1950)

Si potrebbe dire che Sri Aurobindo è stato un filosofo, ma il termine non va associato a una dimensione di puro pensiero. Sri Aurobindo è stato un filosofo che con "il mestiere di vivere" ha mantenuto un contatto costante; un pensatore che di vita si è "sporcato", senza relegare la quotidianità a qualcosa di estraneo o inferiore rispetto alle speculazioni filosofiche. Perché in India un filosofo è anche maestro di vita. E viceversa.

 

Sri Aurobindo, una vita intrisa di ricerca spirituale

Sri Aurobindo nacque in un'agiata famiglia bengalese e studiò presso l'Università di Cambridge, in Inghilterra, paese dove rimase per ben 14 anni. Riuscì a entrare a Cambirdge grazie a una borsa di studio in lettere classiche assegnatagli dalla St. Paul's School di Londra. Nel 1893 tornò in India, aderì al movimento nazionalista e a 29 anni si sposò con una donna che non l'avrebbe poi accompagnato né seguito lungo il suo cammino di conoscenza.

Da Calcutta scrisse i suoi editoriali (scriveva per il giornale Bande Mataram) che diventarono in poco tempo la voce ispirata del partito nazionalista, una voce che spingeva gli uomini e le donne al pensiero di un'indipendenza possibile, da realizzare mediante una forma di resistenza passiva volta a sovvertire le basi del governo britannico in India. Venne arrestato e imprigionato nel 1907, con l'accusa di coinvolgimento in una vicenda di fabbricazione di bombe.

In carcere ci fu la svolta. E' in cattività, infatti, che il pensiero del filosofo si liberò, dirigendosi verso la contemplazione. Ricevette un ordine interiore sottoforma di intuizione, un comando semplice e potente che gli si materializzò tra le meningi: "Andare a Pondichéry". Imbarcatosi sotto falso nome a bordo del Dupleix, giunse a Pondichéry il 4 aprile del 1910 e si ritirò in un ashram (eremo), che diventò il terreno fertile su cui Sri Aurobindo pone la basi del suo yoga integrale, circondato da discepoli uniti in una comunità solida e unita.

Nel 1914 incontrò per la prima volta Blanche Rachel Mirra Alfassa, la futura Mère, venuta a Pondichéry assieme al marito, il filosofo francese Paul Richard. Questi convince Sri Aurobindo a esporre per iscritto il suo pensiero e la sua visione. Nacquero così, dal 1914 al 1920, quasi tutte le grandi opere di Sri Aurobindo, tra cui: Vita Divina, Sintesi dello Yoga, Ciclo Umano, Ideale dell'Unità Umana. Allo scoppiare della Prima Guerra Mondiale i Richard furono costretti a lasciare Pondichéry.

Mère ritornerà, e questa volta per sempre, accanto a Sri Aurobindo nell'aprile del 1920. Nel 1926 Sri Aurobindo si ritirò definitivamente nelle sue stanze, lasciando interamente nelle mani della Mère la gestione dell'ashram e il contatto con i discepoli. Sri Aurobindo lasciò il corpo fisico il 5 dicembre del 1950. La visione di Sri Aurobindo e di Mère è mantenuta viva nella città di Auroville, posta vicino al mare, a 10 km a nord di Pondicherry e a 160 a sud di Madras. Fondata nel 1968 su progetto di Mère, è unica al mondo.

 

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Lo yoga integrale di Sri Aurobindo: la filosofia vicina alla vita

La filosofia spiritualistico-evoluzionistica di Sri Aurobindo ebbe diffusione e successo anche fuori dall'India, grazie ai numerosi scritti di Aurobindo fatti di parole che trasudano vita e arrivano fin dentro al corpo e allo spirito di chi legge. I suoi testi riflettono un sincretismo di cultura orientale e di alcune filosofie occidentali, come quelle di F.H. Bradley e H. Bergson, il cui pensiero influenzò Aurobindo in maniera abbastanza intensa.

Giuseppe Cognetti, Docente di Filosofia comparata delle religioni presso l'Università degli studi di Siena con lunga esperienza in tecniche corporee orientali, lo spiega con parole più esaustive: Sri Aurobindo conosceva anche la cultura italiana: Dante, Mazzini; si è occupato anche della tematica risorgimentale, dato che era molto interessato alla politica attiva. Egli ha dunque acquisito le categorie ermeneutiche e filosofiche della cultura della seconda metà dell’800, che sono ben presenti in certi tratti della sua filosofia.

Secondo Aurobindo, la vocazione dell'uomo consiste nel realizzare la comunione con la divina potenza che agisce nel cosmo, la shakti (dal sanscrito "potenza, forza", appellativo di Parvati-Kali, sposa di Shiva), attraverso una trasformazione della coscienza indotta dal suo yoga integrale (purna-yoga), che, a differenza dello yoga tradizionale, cerca di integrare il divino anche nella quotidianità e nella vita materiale.

Sempre del Prof. G. Cognetti la definizione di Sri Aurobindo come "filosofo interculturale", nel senso che la caratteristica tipica dell’aspirazione aurobindiana è quella di costruire ponti. Sri Aurobindo, cioè, non è un filosofo dogmatico. È un pensatore che ha sempre cercato di gettare ponti unificanti, senza però che questi ponti aboliscano le differenze; in questo senso egli è un pioniere della interculturalità, nel senso che anche lui ha ritenuto che la Verità — anche quella con la maiuscola — sia completamente pluralistica e che si tratta quindi di gettare ponti, cioè di dialogare non in senso dialettico, ma in senso dialogico* ed esistenziale, e soprattutto di non fermarsi a determinate visioni unilaterali del mondo.

 

* La differenza si riferisce alla distanza che il grande filosofo Raimon Panikkar pone tra dialogo dialogico e dialogo dialettico, tra ottimismo della ragione e ottimismo del cuore. Panikkar parla di dialogo dialogico anziché di dialogo dialettico, o meglio arricchisce lo schema tradizionale della dialettica di impronta hegeliana e marxiana, di una nuova figura capace di comprendere l’interlocutore nella sua interezza, senza il passaggio dall’antitesi per poi confluire nella sintesi.

In questo senso il dialogo è un atto religioso per eccellenza, in quanto riconosce la mia religatio a un altro, la mia povertà individuale, il bisogno di uscire da me stesso, di autotrascendermi per potermi salvare

(R. Panikkar, Mito, Fede ed Ermeneutica, traduzione dall'inglese di Silvia Costantino, edizione italiana a cura di Milena Carrara Pavan, Jaca Book, Milano, 2000, p.243)

 

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Immagine | Sri Aurobindo Ning Network