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Yoga: cos’è il Samadhi

Il Samadhi è considerato uno degli obiettivi più alti della vera pratica yoga. Spesso viene associato alla trance e all'assorbimento della coscienza nell'assoluto. Quanto c'è di vero?

Yoga: cos’è il Samadhi

 

Samadhi è un termine che ricorre in alcune religioni, in alcune tradizioni sapienziali e in alcune pratiche, basti nominare lo yoga, l’induismo, il buddhismo, il jainismo, il sikkismo e il tantrismo.

Eppure non si tratta di un concetto poi così facile da spiegare, specie nei suoi variegati dettagli. Letteralmente significa “raccogliere assieme”, ovvero integrare tutte le parti dell’essere, tutti i raggi della coscienza in un unico fascio, ed è considerato l’apice del processo di concentrazione, lo stato in cui la concentrazione sfocia al quando eseguita in modo corretto e fino in fondo.

Ma perché esistono descrizioni così differenti dello stato di Samadhi? Forse ne esistono di diversi tipi? Proviamo a orientarci.

 

Le origini del concetto di Samadhi

Troviamo per la prima volta una descrizione del Samadhi nella Maitrayaniya Upanishad, un testo risalente al primo millenno avanti Cristo. Qui questo stato di coscienza è collegato ad alcune pratiche meditative tipiche di un certo yoga tantrico (risveglio della kundalini) ma con uno scopo finale tipico degli yoga vendantici, ovvero la liberazione del sé dal mondo della materia.

Da allora molte scuole yogiche hanno integrato il concetto di Samadhi, legandolo proprio a qualche forma di uscita dal triplice mondo inferiore fatto di materia, vita e mente, per proiettarsi nel Sacchidananda, ovvero nel triplice mondo superiore fatto di Sat (pura esistenza), Cit (pura coscienza) e Ananda (pura beatitudine).

 

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Come funziona il Samadhi

Ad ogni modo, ogni via per raggiungere un qualunque tipo di Samadhi comincia col ritirare la mente dagli oggetti esteriori e quindi dai sensi, per rivolgerla all’interno dell’essere.

Questo è il primo passo di distacco dal mondo esteriore e di contatto con quello interiore al contempo. Pian piano anche le energie vitali devono fare lo stesso e ritirarsi pian piano dal corpo, riversandosi in esso giusto quanto basta per mantenerlo vivo, come fosse un vegetale, mentre tutto il resto va ad ardere interiormente per innalzare la fiamma della kundalini.

Tramite questi due combustibili, è possibile emergere in uno stato di coscienza trascendentale, oppure emergere in mondi superiori. Quando ciò accade, il corpo cade in quello che in Occidente chiamiamo semplicemente trance.

Però esistono vari tipi di Samadhi. Anzitutto i tipi di Samadhi si dividono in Samprajnata e Nirvikalpa, ovvero la profonda meditazione che prevede un oggetto e la meditazione senza oggetto, pura in se stessa. Entrambe le vie conducono a quattro differenti livelli di Samadhi trascendentale.

 

I 4 livelli del Samadhi trascendentale

Il primo è il Sushupta, ovvero quello legato allo stato di sonno profondo privo di sogni. E’ un tipo di Samadhi molto intenso, tramite il quale ci si distacca completamente dal mondo esterno e ci si lascia assorbire dalla trascendenza senza preoccuparsi di creare “ponti” di coscienza tramite i quali riportare nel mondo della molteplicità e della relatività, ciò che si è sperimentato al di là, che rimane solo come traccia trasformativa subliminale di sottofondo.

Spesso il Sushupta Samadhi è considerato il Samadhi per eccellenza, ma solo perché le altre forme sono difficilmente ottenibili se non attraverso una lunga disciplina.

Infatti, il passo successivo lo Swapna Samadhi o stato in interiorizzazione del sonno coi sogni. Ci implica l’aver creato i succitati “ponti” che permettono di poratare “di qua” dalla trance delle visioni, delle parole, delle immagini, dei concetti, e quindi esserne coscienti e poterli condividere, come si fa col contenuto di un sogno, che benché perda la propria consistenza una volta svegliati, si mantiene reale nella memoria.

Un terzo tipo di Samadhi estramante avanzato è il Jagrat Samadhi, o Samadhi della veglia. Ciò significa il poter connettersi con l’assoluto e vivere la sua realtà senza dover andare in trance ma continuando a vivere in modo desto, con parte dei sensi rivolti verso il mondo esteriore.

Ciò implica l’aver raggiunto uno stato di coscienza in cui la realtà interiore e quella esteriore sono due face della stessa unità. Citiamo infine il Mahasamadhi, ovvero la capacità di lasciare definitivamente il corpo secondo la propria voltontà per immergersi nell’assoluto non solo ritirando i sensi dal corpo, ma la vita stessa. Due famosi yogi che hanno utilizzato quest’ultima forma estrema di Samadhi sono Paramahansa Yogananda e Swami Vivekananda.

 

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Foto: mlnuwan / 123rf.com