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Il karma yoga: al di là dei risultati

Qualche breve accenno sul karma yoga, affascinante sentiero dello yoga dove non servono doti intellettuali o mistiche ma solo la volontà di cambiare la propria prospettiva nelle azioni

Il karma yoga: al di là dei risultati

Un’aspirazione di ogni yogi è quella di portare la pratica fuori dal tappetino: coltivare cioè uno spirito yogico costantemente, anche quando si è al lavoro, sul tram o semplicemente si interagisce con le persone. Così ogni azione diviene yoga e ogni gesto meditazione.

Questa è la via che porta sul sentiero del karma yoga, uno dei percorsi tradizionali per raggiungere la realizzazione. Può essere denominato nella nostra lingua “yoga dell’azione” e consiste nella scrupolosa esecuzione dei propri doveri in modo disinteressato, ovvero senza alcun attaccamento al risultato da essi prodotto. In poche parole così recita la Bhagavad Gītā (famosissimo testo della tradizione induista): “Si deve dunque agire per dovere, senza attaccamento ai frutti dell'azione, perché agendo senza attaccamento si raggiunge il Supremo”. In questo modo l’azione eseguita non produrrà effetti karmici e porterà l’individuo al conseguimento del moksa, la liberazione dal ciclo delle rinascite. 

 

L'origine del karma yoga

Come già accennato, il Karma yoga è uno degli insegnamenti della Bhagavad Gītā che vi si dedica soprattutto nel capitolo terzo. Qui Arjuna, il celebre principe di uno dei più grandi poemi epici dell'India, il Mahabharata, si interroga: se la conoscenza è superiore all’atto, perché impegnarsi e agire? L’eroe infatti è sul campo di battaglia titubante nell’intraprendere una cruenta lotta; preso dal dubbio si chiede se per la sua realizzazione spirituale non debba abbandonare le armi e astenersi dal combattere. Espone così le sue esitazioni a Krisna (manifestazione - Avatāra - del dio Viṣṇu) in una chiarificazione che non tarda ad arrivare.

La divinità gli spiega infatti che vi sono uomini che cercano la realizzazione del sé attraverso la speculazione filosofica mentre altri attraverso l’azione, ma le due strade non sono incompatibili. Anche perché, inevitabilmente, tutti gli uomini sono portati ad agire e ciò non va represso: “L’azione è migliore dell’inazione”, quel che fa la differenza è compierla secondo i nobili principi del karma yoga.

 

Agire in modo distaccato, disinteressato e con consapevolezza

L’azione dunque per essere pregevole e portare alla liberazione deve essere caratterizzata da alcune sfumature importanti che Krisha spiega minuziosamente al suo discepolo. Riportiamo qui solo qualche semplice nozione che possa dare un’idea al lettore del senso del discorso.

  1. L’azione deve essere distaccata e disinteressata: colui che agisce lo fa come adempimento al proprio dovere senza aspettarsi ricompense o elogi. Il karma yogi è equidistante rispetto a tutti gli esiti possibili derivanti dall’atto ottenendo così la liberazione dall’alternanza desiderio/avversione che altro non è se non uno specchietto per le allodole, eco di un mondo transitorio e illusorio. L’uomo deve fare quello che gli è prescritto, a seconda del suo stato e in quel momento della sua vita, indipendentemente dal biasimo o dall’approvazione che ne conseguiranno. Anzi, dovrebbe trascenderli entrambi per liberarsi dalle catene che essi gli hanno imposto.
  2. L’azione deve essere compiuta in consapevolezza divenendo completa meditazione, un’attenzione costante all’oggetto, all’agente e all’atto che divengono un tutt’uno. 

Il karma yoga propone una via per la liberazione empirica e pratica, che ognuno di noi può applicare nella sua vita abbracciando con devozione i propri compiti quotidiani, che piacciano o meno, senza cercare attraverso di essi applauso e approvazione che altro non farebbero che coccolare e accrescere l'ego.

Swami Vivekananda, mistico indiano, sosteneva che questo fosse lo yoga per l’uomo attivo impegnato nel lavoro. Afferma: “Il Karma yoga ci insegna a come lavorare per il lavoro, non-attaccati, senza preoccuparci di ciò che si compie, ci insegna anche perché dovremmo lavorare. Il karma-yogi lavora perché è la sua natura, perché sente che è un bene per lui fare così, e non ha alcun obiettivo oltre quello. La sua posizione nel mondo è quella di un donatore, e non si preoccupa mai di ricevere nulla. Sa che sta donando, e non chiede nulla in cambio, e perciò evita la presa della sofferenza”.

 

Quotidianamente karma yogi!

Lo ricordate Arjuna, il nostro eroe dubbioso sull’imbracciare le armi sul campo di battaglia? Ha poi intrapreso la lotta o ha abbandonato il campo?

Non sveliamo la risposta al lettore curioso, riportiamo solamente un verso particolarmente inspirante:

 “Dedicando a Me tutte le tue attività, in piena consapevolezza di Me, libero dal desiderio di profitto, da rivendicazioni di possesso e dall'indolenza, lotta, o Arjuna!”

 E con la combattività e fiducia che inspirano queste parole, continuiamo o iniziamo il nostro lavoro, in pieno spirito karma-yogico.

Che legame c'è tra il karma e la malattia?

> Il significato del Karma Yoga