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Shanti: i passi della pace interiore

Come insegna lo yoga, sta a noi sviluppare, attraverso precisi passi di pace interiore, lo stato spirituale adeguato a distaccarsi dal dolore ed infine riuscire a gioire di ogni contatto.

Shanti: i passi della pace interiore

Fateci caso, quasi tutti i mantra finiscono con l’invocazione “Shanti, Shanti, Shanti”, ovvero con un’aspirazione alla pace interiore.

La pace interiore è infatti nello yoga sia una meta, raggiunta la quale comincia la vera vita interiore, sia un nuovo inizio, infatti la pace è la condizione di base per alcune realizzazioni e trasformazioni interiori.

Yoga significa “unione”, unione dell’umano col Divino ma anche delle varie parti che compongono l’essere umano e che normalmente sono in una cacofonica disarmonia tra di loro.

La pace è proprio l’elemento che getta le basi per l’armonia tra le parti e che quindi prepara l’essere per un genere di vita di livello superiore.

 

Realizzare Shanti, la pace interiore

Ma andando nello specifico della pratica yogica, nei suoi aspetti tantrici e rajayogici, scopriamo che per ottenere la realizzazione della Shanti, della pace, dobbiamo prima sperimentarla e realizzarla a diversi livelli.

Raramente infatti essa discende nell’essere (o emerge da esso) con un’immediata completa fioritura, c’e’ tutta una serie di petali che si dischiudono in serie e che sono stati nei secoli analizzati da molte scuole di yoga.

Generalmente possiamo identificare delle precise fasi di crescita o passi della pace interiore.

 

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Equanimità e pace

Il primo elemento da instaurare nell’essere, la base della pace, è l’equanimità, in sanscrito samata. Samata è la capacità di mantenere un animo equo di fronte a tutti i contatti con l’universo, ricevere gli attacchi, le situazioni spiacevoli, gli incontri gradevoli, tanto il piacere quanto il dispiacere.

A sua volta samata si sviluppa attraverso tre fasi principali. La prima, titiksha, si traduce nello stoicismo di chi fermamente fa fronte con spirito saldo e resiste sia alle sofferenze che respingono l’essere, sia ai piaceri che lo ammaliano. Titiksha e’ quindi lo stoicismo che non si fa deviare o trascinare.

Una volta completata qesta fase segue udasinata, letteralmente “starsene seduto al di sopra”, ciò che chiameremmo indifferenza.

Quando si è in udasinata non c’è bisogno di una resistenza attiva come in titiksha, tutto l’essere ha fatto un passo indietro e generalmente percepisce solo lievemente i contatti mentali, emotivi e fisici, che difficilmente lo toccano.

Questa indifferenza può derivare da una forte delusione o da una forma di disgusto interiore che tende ad un distacco dalla vita esteriore; può derivare anche da uno sforzo morale ed idealistico, oppure derivare spontaneamente dall comprensione del gioco delle forze nel mondo.

Ma neanche l’indifferenza può essere una realizzazione definitiva, ed una volta consolidate si può passare in nati, ovvero la sottomissione interiore, basata su una percezione intuitiva che tutti i contatti e le situazioni, positivi o meno, sono lezioni interiori, nutrimenti per il progresso interiore, operazioni stabilite da una volontà superiore, quella divina o del sé, per il raffinamento della coscienza inferiore, al fine di renderla pronta per una vera unione. 

Tramite nati si cominciano a trascendere i dualismi e a provare la gioia intrinseca della crescita sia in ciò che prima definevamo buona sorte, sia in quell ache riconoscevamo come malasorte.

Tutto diventa provvidenziale e fatidico, per l’anima che comincia a liberarsi da un dolore al quale non deve più resistere.

 

Ulteriori passi della pace

Esistono ulteriori passi spirituali superiori in cui shanti, la pace interiore, può evolvere. Citiamo qui rasa, ovvero la continua percezione che il Divino stesso ha, nel segreto di ogni elemento ed esperienza.

Segue pritih, un recondito piacere dietro tutte le energie dell’universo, anche in ciò che le convenzioni definiscono spiacevole.

Una volta superate totalmente le dualità emergiamo in ananda, un costante oceano di beatitudine infinita e non soggetta a turbamenti.

Nell’essere esteriore queste realizzazioni si traducono in due aspetti, uno passivo e uno attivo.

Il primo, sukha, è l’essere sollevati e resi immuni ai dolori della vita ed ad ogni forma di depressione e obnubibliamento in alcuna parte dell’essere: la luce interiore agisce costantemente e viviamo in assenza di oscuramento, scoramento, mancanza di forze.

L’aspetto positivo e’ l’hasya, un’inalterabile gioia e allegria in ogni frangente dell’esistenza: il risveglio del bambino interiore che riconosce sua madre ovunque.


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