Articolo

Il Manifesto dello Shiatsu Do

Lo Shiatsu Do: la genesi dello Shiatsu italiano, le differenze con lo stile Namikoshi e Iokai, il cambio di paradigma, la cultura della Complessità.

Il Manifesto dello Shiatsu Do

Il Manifesto dello Shiatsu Do

Lo shiatsu altro non è che l’invito a uscire da quello che noi chiamiamo la “nostra” visione del mondo.

Una disciplina deve, sempre, il suo successo sociale alla forma con cui questa viene rappresentata a livello mentale, individuale e collettivo, e a quali bisogni va a colmare. Il pensiero sottostante la pratica dello shiatsu “giapponese e non” non può sfuggire a questo processo.
Uno sguardo alla storia e allo sviluppo dello shiatsu, sino ad oggi, servirà per rintracciare ed evidenziare come l’aspetto cognitivo abbia agito e  continui ad agire nel modo di fare, pensare, ricevere shiatsu.
Percorso, questo, che ci porterà alla comprensione della sua evoluzione nel contesto italiano, alla conseguente trasformazione in “Arte del Vivere” e successiva collocazione nell’ambito delle Discipline BioNaturali.

Lo Shiatsu che cura la struttura: Namikoshi
In biologia tutto diventa tossico oltre un certo livello ottimo…. 

Il nostro viaggio ricognitivo ha genesi nel mondo Namikoshi. L’approccio “anatomico fisiologico”, prescelto dal fondatore Tokujiro, permette di inquadrare la o le problematiche dell’utente e di intervenire con una modalità tecnica tesa a modificare e adattare “la struttura” del corpo di chi riceve, l’Uke, in un rapporto che ha direzione univoca e che va da Tori verso Uke. Colui che applica la tecnica, il Tori, non fa altro che apportare uno stimolo meccanico, la pressione, che lavora cercando di innescare la risposta fisiologica in chi riceve.
L’obiettivo dello stile è esplicitamente quello di curare. Questo atteggiamento d’intervento è palesato dal racconto storico della vita del Maestro Tokujiro, nel quale si riporta che il miglioramento di salute della madre “Masa” fu in gran parte attribuito allo stimolo che la pressione ebbe sulle sue ghiandole surrenali, attivandone la produzione degli ormoni corticosteroidei che a loro volta innescarono la risposta di miglioramento dello stato di infiammazione articolare di cui la madre soffriva.

 

Lo Shiatsu che cura l’energia: Masunaga

Proseguendo, il viaggio ci conduce nel mondo “Iokai”, che per la cronaca significa “Re della medicina” stile formalizzato dal Maestro Masunaga e chiamato così per ispirazione tratta dal sutra Buddista “Zatsu AgonKyo” dove il Re in questione è definito come colui che conosce “la malattia”, che ne conosce la causa, come adattargli il trattamento e che sa operare nel giusto modo per evitare che la stessa si ripresenti, magari in altre forme.
Mi pare, che si evidenzi chiaramente quale era la procedura cognitiva di Masunaga sensei, il soggetto del suo studio era la malattia, non l’uomo ne il suo campo di relazioni. 
Formalmente, l’obiettivo dello stile, palesemente, rimane quello di curare pur se il modello culturale utilizzato non è più centrato sull’aspetto fisiologico ma su quello “energetico a bilanciamento” il che implica che lo stato di salute persiste ed è garantito soltanto se il corpo è ben bilanciato nei suoi aspetti Kyo/ Jitsu all’interno dello schema dei meridiani. 
Questo è già un salto di livello logico importante, nella storia dello shiatsu, poichè la focale si sposta dalla struttura, “La Materia”, al 2 livello energetico, “Qi”, ma il processo cognitivo sub-operante è legato, imbrigliato, fissato al modo giapponese ben espresso dalla strategia dello stile Namikoshi, “bisogna curare, equilibrare”; dove “cura” significa : “interessamento premuroso e sollecito…insieme dei rimedi usati per guarire da una malattia” il che si porta dietro, immediatamente, l’anima stessa del concetto di Terapia che dal greco vuol dire: “io mi prendo cura” e dal dizionario della lingua italiana De Mauro, indica: “il complesso dei provvedimenti e dei trattamenti adottati per curare o prevenire una malattia”. 
Ora provate, a rigor di logica, a sostenere che lo shiatsu non è una terapia e vi troverete in una situazione alquanto conflittuale, le premesse cognitive vi faranno entrare in uno stato di frustrazione snervante, sensazione ben conosciuta dagli shiatsuka italiani. 
Rimanendo all’interno di questo sistema non v’è soluzione altra: “lo shiatsu è terapia”, a buona pace, di chi come me, oggi sa che qualcosa è cambiato radicalmente. 

Omeostasi e Cambiamento

Se ogni sistema tende a mantenere l’equilibrio vuol dire che l’equilibrio è solo una fase del sistema e non la condizione definitiva…

Italiani, popolo di navigatori, santi e… shiatsuka. Negli anni 70 lo shiatsu arriva in Italia e una schiera di “amatori esotici” si trovò a cominciare a giocare con “un pesciolino rosso” che in realtà aveva le potenzialità di uno squalo tigre. D’altronde introdurre una nuova specie in un ambiente ecologicamente equilibrato non poteva che far presagire un drastico cambiamento, parafrasando la metafora: “si è rotta la bolla e il pesciolino si è liberato”. 


Il mondo Italiano: lo Shiatsu Do

Il mondo italiano, meglio detto, la “culla italiana”, da una parte riceve “le forme pensiero” del modo giapponese, il suo paradigma, dall’altra ne attiva una rielaborazione cognitiva ad ampio raggio che vede mantenere le premesse di base dello shiatsu, pressione costante, perpendicolare, concentrata… ma che a sua volta introduce forme e semi concettuali nuovi, ne sono esemplificazioni l’implementazione del termine “energia” con il concetto di “vitalità”, la rimozione del concetto di “cura” con quello di “risonanza vitale” e la radicale epurazione del concetto, insopportabile in chiave sistemica, di “ricerca di un equilibrio”, energetico o strutturale che sia, con quello di “viaggio evolutivo”.  



Shiatsu e Shiatsu Do

Il semplice è l’articolazione tra complessità diverse… ( E.Morin)

Lo shiatsu è l’articolazione tra complessità diverse chiamate “tori e uke”, quindi è semplice. In siderurgia a nessuno verrebbe in mente che modificando anche di una minima percentuale la quantità di carbonio in lega con il ferro il risultato rimarrebbe uguale, tant’è che questa variazione produce, grossolanamente detto, o ghise o acciai che tra di loro hanno differenze abissali.
Analogicamente, negli anni, l’idea che sosteneva lo shiatsu “made in Japan” ha subito, nel crogiolo italiano, proprio questo cambio epistemologico, quantitativo e qualitativo, di elementi costituenti, temperature, modalità di realizzazione… il risultato è che ne è uscita fuori una lega per sua stessa definizione inscindibile e con caratteristiche totalmente diverse dai suoi elementi costituenti. Il nome di questa nuova lega è “Shiatsu Do”.
Un esempio delle implicazioni è il ritrovamento del ruolo di Tori che “si lega” a Uke non più in una dinamica che ha verso lineare, Tori fa qualcosa per Uke, ma circolare e inscindibile. Torì diviene elemento partecipe ed evolvibile del sistema e non un mero attuatore di pressioni. Si entra, prepotentemente, nella cibernetica di secondo ordine. 
Nasce così la “relazione Shiatsu”, l’incontro, dove è impossibile non comunicare, ogni comunicazione è circolare, ha una sua punteggiatura e veicola “informazione” tramite i contenuti e i comportamenti. Questa è l’alba della genesi dello Shiatsu Do italiano.  



Complessità e Culture

Nulla più che la parola può dare o togliere la vita…nulla più di un nome può dare un senso alla parola. 

La trasformazione dello Shiatsu in Shiatsu Do, visto oggi, appare quasi come ineluttabile, inevitabile, inscritto nel suo codice genico alla voce “mutazioni”. Poiché, se fin da subito è risultato culturalmente evidente la forza di rottura dello shiatsu con altrettanta limpidezza è risultato chiaro che questi aveva vita propria quando invece di funzionare come previsto travalicava il modello teorico “terapeutico” tradizionale e non rispondeva in chiave sintomatica ma sistemica e olistica. 
In pratica, la relazione tra Tori e Uke attivava una “mente shiatsu” autonoma, un’intelligenza che utilizzava il linguaggio delle pressioni e  che oltrepassava, di gran lunga, i confini del classico rapporto terapeutico. Sintetizzando, non solo i soggetti, ma anche la relazione era viva e poteva evolvere. 
Dal profilo culturale, nell’ultimo trentennio lo shiatsu ha dato delle risposte interessanti a chi lo praticava nell’ordine degli effetti, ma fin dal momento della traslitterazione e dell’arrivo in Italia si è manifestato non racchiudibile nel modello teorico che lo aveva sviluppato, cioè quello terapeutico, strutturale o energetico che sia.
Rispettando, una logica della Complessità ne è conseguito che lo shiatsu per adattarsi, alla nostra di cultura, doveva cambiare il comportamento collettivo emergente del suo modello concettuale attraverso una transizione di fase e la conseguente rottura spontanea di una simmetria. 
Esplicitando, in una cultura basata sui soffi vitali e sul concetto di Qi, quella cinese e giapponese, la transizione di fase portava una disciplina nata in quel contesto a divenire “occidentalizzata”, “terapeutica”, viceversa nel nostro contesto, l’inserimento dello shiatsu ha portato al recupero del concetto di soffio vitale, parafrasando “ci ha ridato l’anima”, rompendo la simmetria culturale-concettuale, da questa rottura è nato lo Shiatsu Do, quello che da qui in poi chiameremo il “Terzo Stile”. 



Asimmetria e cascate 

E’ come tuffarsi e rimanere sospesi tra il cielo e la terra, tra la terra e il cielo… 

E’ risaputo che se materia e antimateria si corrispondessero il risultato sarebbe l’annichilimento ovvero il nulla, per il fatto stesso che l’universo esiste è facilmente deducibile che noi non viviamo in una condizione di simmetria ma di asimmetria universale.
L’asimmetria, quindi, diviene condizione necessaria pur se ha il carattere dell’implicito, affinché si strutturino la materia ,l’energia e l’informazione, affinché si formino. E’ un po’ come dire che l’altezza costituisce implicitamente il fondamento della possibilità di saltare, senza la quale, detto con una analogia “bagnata” non esisterebbe nessuna cascata. 
Lo Shiatsu Do è proprio come la cascata… esiste unicamente, perché c’è una differenza di “informazione vitale” tra le condizioni di Tori e Uke e quindi ci può essere libero scambio.Questo ci conduce al primo postulato del Terzo Stile, il cui obiettivo è lo scambio d’informazione vitale tra Tori e Uke mediante risonanza e non un lavoro sul “Qi”, o sulla “Struttura”, comunque fatto.  
D’altro canto, qualunque scambio d’informazione vitale crea organizzazioni nuove della materia, muove l’energia e ricodifica l’informazione stessa. In un solo concetto che unisce la teoria della Complessità a quella Orientale: informa lo Shen, “spazio mentale”, attivando l’autopoiesi ,“autorganizzazione”, del sistema umano ToriUke e indirizzandolo verso una evoluzione impredicibile. Conoscenza, quest’ultima, che ci porta a definire lo Shiatsu Do semplicemente “Arte del Vivere”. 



Poetica della ricerca

Bisogna passare la vita a cercare e praticare, solo questo ci da il diritto di esprimerci sulla vita e le sue manifestazioni. 

La nostra visione del mondo è poetica… inscritta com’è in un foglio bianco dove sono segnate più o meno trenta parole che noi chiamiamo realtà. Possano un giorno sfiorarci i dubbi, che le parole non bastano per esprimerci, che un foglio è un supporto bidimensionale e che quindi manca dello “spessore” espressivo adatto per parlare della vita, che l’analisi e la sintesi altro non sono che un modo di dire “sottovoce” che abbiamo bisogno di ridurre le cose al particolare o alla brevità, perché siamo incapaci di concepire la globalità.
Possa in noi trovare spazio la maturità per accettare “l’integrazione” delle nostre informazioni sulla vita che ci vengono da oltre lo specchio della nostra piccola visione, dando così il benvenuto alla differenza e all’altro. Questa è la mia speranza, quasi una preghiera che faccio ogni giorno, mentre attraverso lo Shiatsu Do imparo a sillabare la parola “Uomo”.

Leggi anche Shiatsu per alleviare il dolore >>