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Fenilchetonuria: di cosa si tratta

Ci sono situazioni nelle quali la dieta può letteralmente salvare la vita, poiché alcuni cibi possono essere nocivi. E' il caso della fenilchetonuria, in cui sono le proteine le "imputate".

Fenilchetonuria: di cosa si tratta

Abbiamo sempre detto che un eccesso di proteine può avere effetti nocivi sulla salute.

Ci sono situazioni in cui invece le proteine vanno quasi del tutto eliminate dall’alimentazione: si tratta di malattie renali, oppure della celiachia o situazioni congenite nelle quali è un gene a funzionare in nodo non corretto.

Per esempio nel caso della Fenilchetonuria, ovvero il malfunzionamento del gene PAH: in queste circostanze l’alimentazione sarà l’unico “farmaco” prescritto e utilizzabile.

Vediamo cos’è la Fenilchetonuria, di cosa si tratta nello specifico.

 

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Fenilchetonuria: di cosa si tratta

Per approfondire l’argomento, ci dobbiamo avvalere del gergo tecnico, almeno per iniziare. 

La fenilchitonuria è abbreviata in PKU (PhenilKetonUria) dagli addetti ai lavori e dai membri della PKU-Family, come spesso si autodefiniscono i fenilchetonurici.

La fenilchetonuria riguarda il metabolismo degli aminoacidi, e incorre in circa 1-5 persone su 10 000; è molto ben conosciuta e studiata, e ormai, grazie alla diagnosi precoce e alla opportuna dieta, è possibile prevenire completamente il manifestarsi dei sintomi che la caratterizzavano quando la ricerca scientifica non aveva ancora scoperto come diagnosticarla e curarla.

Si tratta soprattutto di sintomi relativi al sistema nervoso centrale e di arresto o ritardo nella crescita.

La causa della fenilchetonuria è rappresentata da alterazioni genetiche del gene HPA (o PAH - PhenylAlanine Hydroxylase localizzato sul cromosoma 12; le mutazioni di PAH che possono causare la malattia sono oltre 400) che provocano la carenza dell'enzima fenilalanina-idrossilasi.

Questo enzima è responsabile del metabolismo dellaminoacido fenilalanina. Quando l’enzima non funziona correttamente, la fenilalanina non viene trasformata in tirosina e si accumula nei tessuti, provocando danni all’organismo.

Dal momento che la tirosina è a sua volta precursore del neurotrasmettitore dopamina, le conseguenze più gravi - in assenza di terapia dietetica adeguata - si hanno sullo sviluppo del sistema nervoso centrale e possono andare dal ritardo mentale a disturbi del comportamento, mentre a livello cutaneo è presente una caratteristica pigmentazione chiara dei capelli e degli occhi.

La forma più comune è nota come fenilchetonuria classica. Sono inoltre descritte una forma lieve e persino forme più lievi, ovvero la forma non-PKU HPA, che non richiede trattamento ed è compatibile con un’alimentazione normale, ma può comportare la trasmissione genetica ai figli di altre forme di PKU.

 

Fenilchetonuria: come si fa la diagnosi?

Ormai la ricerca ha fatto grandi progressi in merito alla PKU, nonostante ci siano ancora molti progetti in corso: la terapia genetica, oppure il dosaggio e la somministrazione dell'enzima fenilalanina-idrossilasi.

Ad oggi in Italia – grazie alla medicina preventiva - su tutti i neonati viene eseguito il Test di Guthrie, ovvero il dosaggio biochimico della fenilalanina per l'individuazione tempestiva dei soggetti affetti da fenilchetonuria. In questo modo è possibile iniziare molto precocemente il trattamento idoneo.

Tuttavia, questi programmi di screening sono ancora carenti o inesistenti nei Paesi in via di sviluppo.

 

Come funziona il test di Guthrie?

Il test viene eseguito su tutti i neonati, si effettua nei primi giorni di vita dosando la fenilalanina su una piccolissima quantità di sangue prelevata dal tallone.

Se viene riscontrato un eccesso di fenilalanina nel sangue, si procede ad un approfondimento della diagnosi presso un centro di riferimento per poter individuare con esattezza la specifica forma di PKU presente nel paziente e quindi predisporre il trattamento più idoneo. In ogni regione italiana esiste un centro di riferimento per la diagnosi e il trattamento della fenilchetonuria.

Il livello di fenilalanina raccomandato è di solito tra i 120 e i 360 micromol/L nei neonati, mentre nei pazienti più grandi ha valori superiori.

Tuttavia, non esiste un consenso in merito al livello soglia della fenilalanina oltre al quale si deve avviare il trattamento: le raccomandazioni variano nei diversi paesi.

 

Esistono test da fare in gravidanza?

La diagnosi prenatale, nelle gravidanze a rischio, è possibile con analisi del DNA. In Italia la sua applicazione ha impiego limitato poiché tutti i neonati vengono sottoposti al test di Guthrie.

 

Fenilchetonuria: cosa fare

I problemi causati dalla fenilchetonuria possono essere completamente evitati con la sola alimentazione corretta.

Ovviamente sarà da evitare i fai-da-te ma è indispensabile seguire le indicazioni del proprio centro di riferimento.

Lo scopo primario della corretta alimentazione è evitare l’accumulo di fenilalanina, che è presente in molti alimenti, soprattutto quelli di origine animale.

Pertanto la dieta in caso di fenilchetonuria sarà essenzialmente a base di prodotti vegetali (quasi come la dieta vegana, per capirci) e ipoproteica, con costante assunzione di integratori dietetici specifici per garantire il corretto apporto di tutti gli aminoacidi – tranne la fenilalanina – essenziali alla salute.

Un tempo si riteneva che fosse sufficiente osservare il regime alimentare particolare fino alla pubertà, oggi molti esperti ritengono che sarebbe meglio continuare la dieta per tutta la vita.

Poichè i cibi permessi possono diventare un fattore fortemente limitante, sono stati creati dei prodotti ad hoc – rimborsabili dal Sistema Sanitario Nazionale – ipoproteici ma che consentano un’alimentazione varia per gusti e consistenza: esistono per esempio preparati per pasta, pizza, dolci e addirittura…ottime cioccolate prive di proteine.

 

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