Intervista

Corpi liberi e consapevoli: tra fisioterapia e agopuntura

Intervista a Marco Ferrara, esperto in alcune tecniche di Medicina Tradizionale Cinese, complementari all'agopuntura e profondo sostenitore delle capacità guaritrici nel nostro corpo

Corpi liberi e consapevoli: tra fisioterapia e agopuntura

Quando mi rivela che quel che impara lo impara costantemente dai suoi pazienti sorrido. In effetti, Marco Ferrara ha una buona dose di manualità, curiosità, intuito. E non è di quelli che si saziano con poco.

Nel rispondere alle mie domande, ci ritroviamo subito alla chiave di volta e l’ambito del nostro dialogo sconfina verso strumenti pratici e concettuali per il lavoro su se stessi. 

Laureato in fisioterapia, Marco ha poi approfondito anche il versante orientale studiando sia in occidente che oriente, dedicandosi alla ricerca nel campo della medicina tradizionale cinese e all’approfondimento di tecniche di stimolazione e manipolazione. Una bella fusione tra orizzonti sul corpo umano di natura differente ma di contributo reciproco, completamento biunivoco. 

 

L'importanza dell'idratazione

Quando arrivo nel suo studio mi serve un bel bicchierone di acqua con tanto di anice. E andiamo subito al primo punto chiave: l’idratazione. “I miei pazienti arrivano e come prima cosa spesso bisogna reidratarli, poiché la maggior parte delle patologie derivano da carenza di acqua nel sistema. E, purtroppo, spesso, si presentano da me con un quadro metabolico già alterato dalla disidratazione.” (Sì, la lettura dell’intervista può senza dubbio essere interrotta per procurarvi un bel bicchiere d’acqua).

L’intervista è confluita anche in una visita prenotata appositamente per una faccenda personale legata all’anca, che si riflette su un ginocchio e si protrae da tempo. Questo mi ha dato ottimi elementi per valutare come Marco opera, cosa intuisce, quanto tempo si prende, cosa dice e come.

 

L'agopuntura: come agisce sul dolore alla cervicale?

 

 

La seduta e l'ausilio dell'agopuntura

Sembrano dettagli, non lo sono; è stato un caso io sia finita da lui (dopo altre visite inconcludenti), che mi è stato descritto da un’amica pediatra come un dio dalle mani e dalle punte d’oro. Le punte mi hanno incuriosito. In effetti Marco, dopo il percorso in fisioterapia, ha studiato la medicina tradizionale cinese e si è specializzato nel lavoro con le tecniche complementari all’agopuntura quali martelli e punte.

Marco lavora con l’intelligenza del corpo o meglio mette gli altri in condizione di farne esperienza. Un dettaglio affatto trascurabile: usa la grafite. “Vedi la tecnica prevede colpi con martelletto e delle punte alternative all’ago ed, inoltre,  io uso anche la matita in quanto la grafite ha una valenza bioelettrica che adesso si sta iniziando a studiare anche a livello di ricerche condotte dall’OMS.”

La seduta è stata lunga, interessante e Marco non ha mai tralasciato di spiegarmi i punti che andava colpendo, le inserzioni del muscolo, il lavoro sulla fascia. E mentre colpisce riesce anche a farti ridere. “Vengono da me i bambini, dicono ai genitori: Andiamo a giocare da Marco.” Mi spiega qualcosa di prezioso: “Io non lavoro sul dolore. A me interessa la causa. Io parto dai piedi per curare il torcicollo. Ti prendo il caso di un piccolo cliente che ho avuto in cura: prima di un esame scolastico non riusciva più a muovere la gamba. Sono andato a casa sua, c’era da ridare fiducia e una volta azionata quella leva, ha ripreso velocemente. Se mi fossi concentrato sulla gamba non avremmo ottenuto questi risultati. Il corpo ha capacità di recupero allucinanti. Spesso siamo noi a remare contro la nostra stessa autoguarigione. Per questo cerco di lavorare con entusiasmo insieme ai miei pazienti e ognuno di loro è fonte di ispirazione.” 

E, di fatto, ogni intuizione nasce dal lavoro per e con qualcuno. La foto che vedete inserita nell’articolo lo ritrae mentre dà le spalle al quadro fatto da una sua paziente. “Era stata operata per fratture multiple alla mano e sia il chirurgo che gli specialisti consultati dopo gli interventi avevano escluso che potesse tornare a usare i pennelli adeguatamente.

La conobbi a una festa ed era nel pieno della fase di crisi dovuta alla condizione, considerando che la sua passione artistica era anche la sua fonte di guadagno. Iniziammo a lavorare insieme e quel quadro fu la mia ricompensa... se tu avessi visto la sua mano prima dell’inizio del suo lavoro con me, era un insieme di fissatori esterni per garantire una corretta osteosintesi delle svariate fratture, ci siamo messi a lavorare da una situazione di partenza che richiedeva moltissima concentrazione e fiducia da parte di entrambi, sia reciproca che individuale.”

Una spiegazione della Grande Onda di Hokusai da far venire birividi di meraviglia cui segue una riflessione insieme a lui sull’intenzione e la fiducia, in se stessi prima di tutto.  

marco ferrara

 

 

La risorsa quindi è nostra, è interna?

Purtroppo c’è la preferenza a demandare a un soggetto esterno la responsabilità della propria guarigione ovvero il mantenimento del proprio stato di salute.

Così, la medicina iper-accudente produce gli stessi danni dei genitori iper-protettivi, inibendo i fisiologici processi di autoguarigione che restano, fortunatamente, latenti e pronti ad essere sfruttati se, adeguatamente, stimolati”.

 

E qual è in questo paradigma il compito di un terapeuta? 

A mio avviso, laddove possibile, è quello di stimolare il paziente verso un processo di autoguarigione, che inizi dalla presa di coscienza del proprio status patologico nonché che lo veda attore e non elemento passivo-ricevente senza, o quasi, voce in capitolo nei riguardi del percorso terapeutico proposto ed intrapreso.

Il terapeuta deve, dunque, togliere "i bastoni fra le ruote", informare, cioè, il paziente dei rischiosi limiti di un processo passivamente accettato, che non lo veda come partecipe rischiando di ottenere risultati fittizi, affatto stabili e tantomeno appaganti.

 

Ma abbiamo in noi un codice, una sorta di legenda cui poter tornare, qualcosa che è fonte di ispirazione per un movimento naturale, contattabile al di là dei condizionamenti, degli infortuni?

In realtà le cose sono semplificate da quella che ho nominato "la memoria genetica del corpo" ovvero anche dalla sua "memoria meccanica, che affonda le proprie radici nel bagaglio geneticamente attivo già alla nascita (strisciamento riflesso e rotolamento riflesso, etc...), la cui funzione è proprio quella di garantire movimenti corretti in quanto economici e performanti.

Quindi il “trucco” consiste nel riuscire a stimolare adeguatamente questo programma che descrivo come "software originale", in quanto previsto dal codice genetico. 

 

Ti occupi anche di lavori energetici come il reiki?  

No, non faccio lavori di questo tipo perché non li saprei gestire.

 

Perché le abitudini posturali si sedimentano e diventano gabbie? 

Il corpo si cerca la strada comoda. Attua dei “trucchi”. E questo ha costi alti che prima o poi si evidenziano. La manifestazione non è tanto legata all’età quanto alla gravità.

Un trucco che grava troppo fa cedere, crea uno squilibrio che si riflette su tutta la struttura. Ho anche medici per pazienti e spesso devo tornare con loro sulla verità per cui l’aspetto emozionale si ritrova a livello meccanico. Il corpo umano è progettato in modo eccezionale, noi ne siamo goffi proprietari.

 

Dall’esperienza con i tuoi pazienti c’è un consiglio esteso che daresti ai lettori? 

Di tornare alla semplicità. Anche e soprattutto rispetto ai meccanismi del corpo. Si tratta di riprendere il fatto meccanico: un gatto non studia come respirare. Riprendere a viversi con semplicità.

Occorre scremare, tornare a precetti base: occorre bere, muoversi bene, trovarsi a proprio agio nella posizione eretta semplice.

 

Questo significa eliminare anche sovrastrutture sociali? 

Sì, significa ribellarsi e non adeguarsi a un concetto culturale folle che ci vuole con il petto in fuori, la pancia in dentro, la mascella serrata per affrontare un altro giorno a contatto con un numero spropositato di dispositivi elettronici.  

 

Qual è l’obiettivo che persegui in ogni seduta? 

Io voglio creare pazienti consapevoli. Voglio renderli autonomi. Per questo oriento il lavoro sulla percezione dello stato di dolenzia e sulla riorganizzazione, non voglio creare una dipendenza dalle mie sedute.

Il paziente dovrebbe almeno esser messo in grado di non remare contro la propria guarigione e questo è già un risultato luminoso. 

 

Quanto è importante la comunicazione tra terapeuta e paziente per il processo di guarigione?

 

 

Immagine | Marco Ferrara