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Tra ortografia e orto: scrittori per la natura

In Italia l’orizzonte letterario è in questi anni costellato da autori che vogliono riappropriarsi delle radici dell'essere umano, senza farne per questo un fanatismo; uomini sì, soprattutto di uomini si tratta, romanzieri, “paesologi”, poeti che narrano di un mondo che sta scomparendo, dall’alto di una casetta sui monti, immersi nel verde di un bosco o "addentro fino alla carne" nel paesello dimenticato. Scopriamo chi sono…

Tra ortografia e orto: scrittori per la natura

Scrittori e orto, perché? Che c'entra il poeta con il giardino? Molti scrittori hanno ritrovato nel tempo se stessi e la propria pace in un orto o nel verde di un bosco. Un verde che pervade e colma. Ne sono nati versi e scritti bellissimi. Esplorare questo orizzonte proprio in un'era tutta digitale non può che aiutarci a cercare radici, o meglio, ritrovarle.

Tra inchiostro e fiori, piante e fogli, versi e natura.


La "vegetalizzazione” e le "radici virtuali” nell’era dell’ipercomunicazione

Ciò che siamo, le fibre vere, corporee che imbastiscono il nostro Dna, umano e italiano, si stanno più o meno consapevolmente sostituendo con “cybertessuti organici” e “radici virtuali”: benvenuti nel tempo dell’”ipercomunicazione”. Incipit iperbolici a parte, c’è qualcuno che questo dominio tecnologico lo sta avvertendo per davvero e ce lo sta comunicando ancora alla vecchia maniera. C'è qualcuno che ci sta facendo notare che tutti i neologismi che ci stanno cucendo addosso, ad un certo punto, non ci stanno più bene.

Percepiamo che c’è qualcosa che stona, come un’accozzaglia di abiti abbinati male. Cerchiamo di strappare via queste nuove forme che ci deformano, ma non è più così semplice farlo. Di fronte alla miscredenza della carne c’è chi ha avverte o ha avvertito il bisogno di tramutarsi in qualcosa di appartenente al regno vegetale, che si è buttato sulla linfa e sulla corteccia, insieme forza vitale e protezione che non hanno dato modo alla tecnologia di infilarcisi dentro, contrariamente a quanto ha fatto e sta facendo la carne umana, che piano piano le sta delegando e concedendo tanto. La “vegetalizzazione” ci preserverà dal dominio tecnologico?

 

Orto e scrittori: gli autori della terra

Cosa c'entrano orto e scrittori? In che rapporto stanno le foglie e i fogli, la penna e il bastone per camminare nel verde?

Gli scrittori per la natura si destreggiano tra ortografia e orto, camminate lungo i sentieri, chiacchierate con gli alberi. La capacità di entrare in contato diretto con la natura, di ascoltare la sua voce, di vivere le sue misteriosi leggi fino a raggiungere la chiave dei suoi segreti caratterizza e accomuna il loro stile. Il panismo letterario, inteso come desiderio e tensione istintiva, porta gli autori a identificarsi con le forze naturali, fondendosi con esse attraverso uno slancio gioioso e spontaneo, collaborando con esse.

Ed ecco che nascono poesie come “Esistere psichicamente” di Andrea Zanzotto, tra le meno bucoliche che ci ha lasciato il poeta, in cui si parte “Da questa artificiosa terra-carne”, per arrivare al Franco Arminio che del romanzo intitolato “Terracarne” è autore, ultimo suo libro dove ripercorre a uno a uno i molti paesi di un’Italia-Paese che ha patito in modo “troppo veloce il passaggio dalla civiltà contadina alla modernità incivile” e ha sofferto con i suoi abitanti, come chi “dalla carne soffre per la sua terra e dalla terra soffre per la sua carne”.

Si passa poi a Franco Ferrarotti, dove in “Atman, il respiro del bosco”, l’autore sottolinea l’importanza di un ritorno a ritmi naturali, in quanto gli esseri umani non sono fatti per vivere alla velocità della luce, sostenendo che “La transazione dal genere umano al regno vegetale è una cosa positiva. Questo bosco è la mia cattiva coscienza.”

Il sociologo, in un’intervista rilasciata a Radio3, mette in evidenza il fatto che in poco meno di due generazioni il paese è diventato “schizofrenico, elettronico, ma che è ancora borbonico” e non ci si capisce più nulla.  E conclude con un concetto importante “Io, essere umano, vengo azzerato e travolto, l’informazione non mi informa più ma mi deforma, e nel momento in cui io sono deformato ho incominciato già a rinunciare alle mie capacità di valutazione razionale”. E la parola passa a Gianni Celati, con opere emblematiche come “Vite di pascolanti”, “Strada provinciale delle anime”, “Narratori delle pianure”: per Celati scrivere è camminare per i sentieri, camminare per tutta la giornata e poi scrivere solo per mezz’ora.

 

I film a impatto ambientale

 

Tonino Guerra, un esempio su tutti

Si rimane proprio così, di stucco, come se all’improvviso ci accorgessimo che una parte di noi è stata strappata, un lacerto di qualcosa è ancora là, impigliato in una rete metallica, che vorremmo staccare e strappare, ma non possiamo farlo. Non ci possiamo portare via, per inglobarla in questo stravolgimento epocale, la radice che ancora ci lega a quanto di  naturale, di terra, di istinto e di umano c’è in noi. Resta là, e il sapere che c’è a volte fa percepire come un nodo allo stomaco. Non ci resta che leggere. “Il romito Lorenzo viveva in una casupola che si era fatta con le sue mani mettendo una sull’altra le schegge di roccia che raccoglieva sul monte Zucca, dove cresceva dell’erba spinosa che non piaceva neanche alle capre.”

Siamo in compagnia di Tonino Guerra, recentemente scomparso, autore che amava destreggiarsi sia con l’ortografia che con l’orto, un esempio su tutti è il suo testo “Polvere di sole. 101 storie per accendere l’umanità”. Un uomo che ci ha regalato uno sguardo puro e incontaminato sul mondo, attraverso la penna, ma anche con i pennelli e con abili mani da scultore.

Sono infatti emblematici gli esempi di alcune sue installazioni artistiche, si tratta de "I Luoghi dell'anima" della sua cara Pennabilli, nel Montefeltro, e tra questi spiccano L'Orto dei frutti dimenticati, Il Rifugio delle Madonne abbandonate, La Strada delle meridiane, Il Santuario dei pensieri, L'Angelo coi baffi, Il Giardino pietrificato. Una personalità, quella di Guerra, che ci aiuta a muoverci nelle zone più recondite e profonde della nostra memoria, conoscerlo significa forse prendere una boccata d’aria sugli scenari apocalittici che sembra si prospettino all’orizzonte. Un dolce ricordo, il video dove Tonino Guerra dialoga con il regista Andrej Tarkozskij.

 

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Immagine| Arteyfotografia.com