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Le principali piante di uso clinico in omeopatia e fitoterapia

La ricca varietà di specie di piante officinali presenti in natura, o che vengono coltivate per uso medicamentoso trovano oggi largo impiego in medicina per la cura delle più svariate patologie, in particolare in Omeopatia e Fitoterapia. Di seguito vengono riportate le caratteristiche delle principali specie vegetali di uso clinico.

Le principali piante di uso clinico in omeopatia e fitoterapia

Le piante officinali storicamente vengono intese quelle piante utilizzate dagli speziali, i farmacisti del Medioevo, nelle loro botteghe le spezierie o “officine farmaceutiche”, dove si vendevano le spezie e si preparavano i medicamenti a partire dalle erbe medicinali. Nel XIV secolo, l’età dei Comuni, gli speziali facevano parte dell’Arte dei Medici e Speziali, una delle sette arti delle Corporazioni, il cui compito era quello di svolgere attività di controllo sulla preparazione e serietà degli speziali; di tale Corporazione, si racconta, facesse parte anche il sommo Dante Alighieri.

Conosciute in tutto il mondo le piante officinali si devono però distinguere dalle piante medicinali in senso stretto, la cui definizione secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) è …. “un organismo vegetale che contiene in uno dei suoi organi sostanze che possono essere utilizzate a fini terapeutici o che sono i precursori di emisintesi di specie farmacautiche”…, sostanze o fitocomplessi farmacologicamente attivi di origine vegetale. Quindi con il termine “officinali” si intendono le piante riconosciute in elenchi ufficiali come utilizzabili per le preparazioni medicamentose, mentre le piante “medicinali” indicano quelle piante che presentano virtù medicinali dirette, a prescinde dal fatto che siano o meno inserite in un elenco ufficiale (officinale appunto).

Dal punto di vista storico, molte fonti riportano il "papiro di Ebers", risalente al 1500 a.C., come il più antico documento medico egizio, ascrivibile al regno di Amenohotep I, anche se il testo potrebbe essere più antico; questo fu acquistato fra il 1873-1874 a Tebe, dall’egittologo e scrittore tedesco Georg Ebers oggi è conservato presso la biblioteca dell'Università di Lipsia in Germania. Questo a testimonianza del largo uso di piante e medicamenti di natura vegetale, che facevano gli Egizi, che in particolar modo conoscevano le proprietà della maggiorana, dell'edera e della mirra largamente utilizzata per l’imbalsamazione.

Nell'antica Grecia, poi, uno dei più importanti studiosi fu il medico Eraclide, padre di Ippocrate (Kos, 460 a.C. - Larissa, 375 - 351 a.C.), che faceva parte della corporazione degli Asclepiadi, ossia quegli studiosi devoti al dio Asclepio, dio della medicina nella mitologia greca, più noto presso i latini come Esculapio, il quale sperimentò nuove ricette, riprese in seguito dall’enciclopedista e medico romano di origine gallica Aulus Cornelius Celsus o Celso (Gallia Narbonese, 14 a.C. – 37 a.C.).

La raccolta e la vendita dei medicamenti, così diffusa nell’antichità, veniva definita con il termine "farmacopoli", questa si basava sulle nozioni contenute nei testi medici scritti da Ippocrate, il padre della moderna medicina;  su quelli botanici ascrivibili al filosofo-botanico greco Teofrasto(Ereso, 371 a.C.Atene, 287 a.C.), che ebbe molti contatti con le genti romane, e su quelli di Dioscoride Pedanio (Anazarbe, 40 d.C - 90 d.C) medico, botanico e farmacista che esercitò a Roma all’epoca dell’Imperatore Nerone. Questi nella sua De Materia Medica descrisse più di 600 piante e trattò dell’impiego terapeutico di parecchie sostanze animali, vegetali e minerali. 

Nell'antica Roma, poi, a partire dal I secolo d.C., le erbe medicinali erano ampiamente conosciute e coltivate negli orti chiamati appunto “medicinali”.  Ampio contributo alle teorie ippocratiche venne, poi, da  Galeno di Pergamo (Pergamo, 129 d.C. – Roma 216 d.C.), medicodi corte dell’imperatore romano Maeco Aurelio, i cui punti di vista hanno dominato la medicina europea sino al Rinascimento. Questi fu il primo a considerare la dieta, come parte integrante della terapia medica, attraverso l'uso di frutta, verdura e piante officinali nell’alimentazione quotidiana.

i deve, poi, ai Saraceni, nel IX secolo d.C. in Sicilia, l’introduzione di nuove tecniche di uirrigazione per coltivare diverse specie di piante officinali, ma furono gli arabi che diedero un grande impulso all'aichimia e alla chimica, nello sviluppo farmaceutico di tinture e distillati, che portarono ad organizzare una sorta di farmacopea, recante un elenco di ricette con le proporzioni e le composizioni chimiche delle varie sostanze allora conosciute. Ma i primi veri testi farmaceutici risalgono agli XI, XII, XII secolo in cui confluirono tutte le influenze greche, arabe e romane, che riportano le operazioni fondamentali delle preparazioni farmacautiche: lozione, decozione, infusionee triturazione.  

In questo periodo si diffuse l'uso delle spezie e delle droghe e la Scuola Salernitana introdusse assieme alle pratiche chirurgiche anche un antesignano dell'anestesia, la spongia sonnifera, che imbevuta di altre sostanze doveva essere aspirata dal paziente prima dell’intervento. La Scuola di Salerno si distinse anche per la grande perizia nel selezionare le erbe, sulle quali abbondano indicazioni terapeutiche ancor oggi efficaci, come l’utilizzo per l’azione espettorante ed antiinfiammatoria sul polmone della pianta di Issopo (Hyssopus officinalis) <<Purga l'issopo dalle flemme il petto>>.

 

Proprietà, uso e controindicazioni della pianta di issopo

 

Salerno fu, inoltre, il luogo in cui sorse il primo Orto Botanico o “Orto dei semplici”, come veniva chiamato, nel 1300 circa, ad opera di Matteo Silvatico (Salerno, 1285 – 1342) medico italiano che operò nell'ambito della Scuola Medica Salernitana cui seguirono poi l’Orto Botanico di Pisa (1543), Firenze e Padova (1545) fra i primi.

La botanica intesa come scienza nacque solo agli inizi del Cinquecento, grazie alle scoperte geografiche e alla introduzione della stampa. Si diffusero, infatti, in questo periodo i primi erbari secchi e nel 1533 a Padova fu istituita la prima cattedra di botanica sperimentale. Risale, infatti al 1554 il più significativi testo di medicina e di botanica opera di Pietro Andrea Mattioli (Siena, 1501 – trento, 1578) umanista e medico, che non si limitò a tradurre l'opera di Dioscoride, ma la completò con i risultati di una serie di ricerche su piante all'epoca ancora sconosciute, trasformando i Discorsi in un'opera fondamentale sulle piante medicinali, un vero punto di riferimento per diversi secoli; nel 1554 fu pubblicata la prima edizione latina dei Discorsi di Mattioli, chiamata anche i Commentarii.

Nel Seicento, poi, fu Pierre Magnol (Montpellier, 1638 – 1715) botanico francese, che analizzando la parentela fra le varie specie vegetali, apportò una sostanziale innovazione allo schema di classificazione botanica, ancora in uso, introducendo le famigòlie, suddividendo, così, il mondo vegetale in settantasei gruppi.

Ma fu solo nel‘ 700, che gli studi botanici ebbero il maggior impulso grazie al medico, botanico e naturalista svedese Carl Nilsson Linnaeus, divenuto Carl von Linné dopo l’acquisto del titolo nobiliare e noto come Linneo (Rashlt, 1707 – Uppsala, 1778), che identificò le specie viventi sistematizzandole in classi, ordini e generi.

La ricca varietà di specie che sono presenti in natura, o che vengono coltivate per uso medicamentoso, trovano oggi largo impiego in medicina per la cura delle più svariate patologie, in particolare in Fitoterapia e in Omeopatia, dove vengono esaltati i principi attivi delle piante con preparati di vario genere: tintura madri, macerati glicerici, o diluizioni hahnemanniane.

Di seguito vengono riportate le prime schede botaniche delle principali specie vegetali di uso clinico

 

A: Arnica montana 

E' un'erba medicinale della famiglia delle Asteraceae, ghiandolosa, perenne, a fusto eretto e mediamente robusto, alta 20 – 60 cm, fiori dai grandi capolini di colore giallo aranciato, dal gradevole odore aromatico. Il nome del genere (Arnica) potrebbe derivare da una alterazione del tardo-latino ptàrmica, a sua volta derivato dal greco ptarmikos (starnutatorio) con allusione alle proprietà di provocare starnuti legate all’odore della pianta. Per altri autori il riferimento è alla parola greca arnakis (pelle di agnello) che ricorda la delicata tessitura delle sue foglie. Il nome Arnica in antichità venne impiegato più volte per specie diverse aventi in generale fiori gialli, la prima documentazione dell’Arnica montana risulta del 1731 a proposito di un manuale di giardinaggio. In Francia è molto comune la denominazione di Tabac des Vosges in quanto gli abitanti delle regioni montane se ne servivano come tabacco da fiuto.

L'Arnica montana è endemica in Europa, dalla Penisola Iberica, alla scandinavia e ai Carpazi. È assente dalle Isole Britanniche e rara in Italia. Cresce in terreni poveri (pascoli magri, brughiere e torbiere alte) e silicei (substrato acido); in zone montane da 500 a 2500 mslm, ma è assente in pianura. Questa pianta appartiene alla flora protetta e trattandosi di una tra le piante medicinali più utilizzate al mondo, questo ne rende complicata la produzione su scala industriale; quindi vengono utilizzate, anche altre specie di arnica, quali ad esempio la Arnica Chamissonis less.

Principi attivi : tutta la pianta (fiori e rizoma) contiene un glucoside l’arnicina che è simile, come azione, alla canfora. Produce due differenti olii essenziali, uno localizzato nei fiori e l’altro nei rizomi essiccati. Dalla pianta si può estrarre anche fitisterina, acido gallico e tannino. Epoche particolari di raccolta: le foglie e i fiori in estate; i rizomi in settembre-ottobre. Durante la fioritura, viene utilizzata tutta la pianta.

Utilizzo: questa pianta è spesso utilizzata come rimedio nella Fitoterapia. Una infusione di foglie viene utilizzata come trattamento, per uso esterno, di traumi e contusioni, ma non deve essere utilizzata sulle ferite. In forma di crema o di tintura diluita, è utilizzata nei dolori reumatici e per l'alopecia.

Uso in Omeopatia: l'Arnica è utilizzata per dolori muscolari e nella cura a lungo termine di traumi di ogni tipo (anche affettivi), per shock, contusioni, strappi, artrite e dolori influenzali, sforzo cardiaco degli atleti, fragilità capillare, nefriti emorragiche, ascessi emorroidari acuti, sempre in ragione della similitudine dei sintomi.

Tossicità: è velenosa se ingerita, infatti la tintura non diluita può provocare tachicardia, enterite e persino un collasso cardiocircolatorio. Per queste proprietà, un tempo questa pianta era utilizzata come veleno. Contromisure per l'ingestione accidentale includono l'ingestione di carbone per assorbire le tracce di tossine nell'intestino e l'ingestione di liquidi per diluirne la concentrazione. Ad ogni modo, non sono noti antidoti.  

 

Atropa belladonna

La belladonna è una pianta a fiore appartenente all'importante famiglia delle Solanaceae. Il nome deriva dai suoi letali effetti e dall'impiego cosmetico. Atropo era infatti il nome (in greco:Ἄ-τροπος,cioè in nessun modo,l'immutabile,l'inevitabile) di una delle tre Moire che, nella mitologia greca taglia il filo della vita, ciò a ricordare che l'ingestione delle bacche di questa pianta causa la morte. L'epiteto specifico belladonna fa riferimento ad una pratica, che risale al Rinascimento in cui le dame usavano questa pianta per dare risalto e lucentezza agli occhi mediante le capacità di dilatare la pupilla, un effetto detto midriasi provocato dall'atropina contenuta nella pianta, ad azione sul sistema nervoso parasimpatico. Pianta erbacea e perenne, dotata di un grosso rizoma dal quale si sviluppa un fusto robusto, eretto, di altezza compresa tra i 70–150 cm. Le foglie sono semplici di forma ovale-lanceolata e come il fusto, sono ricoperte di peli ghiandolari responsabili dello sgradevole odore della pianta. I fiori sono ermafroditi e di colore violaceo cupo. La belladonna fiorisce nel periodo estivo e l'impollinazione avviene tramite insetti. I frutti sono lucide bacche nere, di piccole dimensioni con calice a stella. Nonostante l'aspetto invitante e il sapore gradevole, le bacche sono velenose per l'uomo e l'ingestione può provocare una diminuzione della sensibilità, forme di delirio, sete, vomito, seguiti, nei casi più gravi, da convulsioni e morte.

Habitat: La belladonna cresce sporadica nelle zone montane e submontane fino ad una altitudine di 1400 metri. Allo stato selvatico è presente in Europa centrale, Africa settentrionale e Asia occidentale fino al Pakistan. In Italia si può incontrare nei boschi delle Alpi e Appennini; in alcuni luoghi il succo delle foglie viene usato come rimedio contro le punture di vespa.

Principio terapeutico : l'ingrediente terapeutico principale della pianta è l'atropina o DL-giusciamina. Si trova in tutte le Solanacee : in dosi terapeuticamente rilevanti in Datura stramonium, Hyoscyamus niger, Solanum niger; in dosi più basse in piante coltivate come patate e pomodori

USO: In medicina allopatica l'atropina isolata viene ancora usata come dilatatore di pupille e come miorilassante p. e. prima di interventi chirurgici.

In Fitoterapiala belladonna è usata da tempo immemorabile dai medici per le sue doti spasmolitiche.

In Omeopatia la Belladonna viene utilizzata in ragione della similitudine dei sintomi, principalmente per le seguenti patologie:

  1. faringiti, rinofaringiti, tracheobronchiti e tonsilliti
  2. febbre durante l'influenza, convulsioni infantili da febbre elevata
  3. cefalea vasomotoria violenta, pulsante tipica del medicinale
  4. processi infiammatori locali con arrossamento, tumefazione, calore intenso, dolore acuto, violento e pulsante (rubor-tumor-calor-dolor)
  5. delirio, ipersensibilità al rumore e alla luce intensa.

B: Bryonia alba

E' un vitigno vigoroso nella famiglia Cucurbitaceae (zucche e meloni) provenienti dall’Europa e dal Nord Iran. E’ una pianta invasiva, che gli conferisce un potenziale altamente distruttivo, come una pianta infestante nociva. Altri nomi comuni sono : mandragora inglese e la rapa del diavolo. Pianta erbacea perenne, vite della famiglia del cetriolo, Bryonia alba presenta parti maschili e fiori femminili separate sulla stessa pianta, con una radice tuberosa gialla.

I fiori sono bianco-verdastri, i lunghi viticci ricurvi, le foglie lobate e i frutti a forma di bacche che annerisce con la maturazione, sono le sue caratteristiche principali. Gli uccelli sono il meccanismo di dispersione più comuni per questo tipo di pianta, perché contribuiscono a disseminano lontano i semi della pianta.

Tossicità: Tutte le parti di Bryonia alba contengono una sostanza altamente tossica che è velenosa e può causare avvelenamento sino alla morte; anche il bestiame può essere avvelenato dal consumo di parti della pianta come frutti e foglie. Si considera che una quantità pari a quaranta bacche costituisca una dose letale per gli esseri umani adulti.

USO in Omeopatia L’uso omeopatico di Bryonia alba è relativo associato alle patologie respiratorie febbrili e dell’apparato scheletrico:  

  1. tracheiti o bronchiti  in fase acuta  caratterizzate da tosse secca e pleuriti
  2. difficoltà al movimento, che peggiora i sintomi con dolore retro sternale 
  3. forme artritiche reumatiche acute   
  4. lombalgie
  5. forme febbrili con sete intensa 
  6. ricerca dell’immobilità e abbondanti sudorazioni che migliorano i sintomi,

 nonché negli stati influenzali, con le caratteristiche del medicinale (migliorato dal riposo).

 

C: Calendula officinalis

Pianta della famiglia delle Asteraceae ( o Composite) originaria dell’Europa, Nord Africa e Medio Oriente. Comprende 12 specie la più conosciuta delle quali è la Calendula officinalis.

Il nome deriva dal latino Calendae, ossia il primo giorno del mese romano, in relazione alla fioritura della pianta che avviene una volta al mese durante l'estate. Il genere Calendula comprende una ventina di specie. Si tratta di erbacee dal fusto eretto, foglie tenere ed alterne, fiori ligulati di colore che varia dal giallo vivo al rosso-arancio.

Un elemento determinante per l'esatta identificazione delle varie specie è dato dalla forma del frutto (achenio); quasi tutte le specie sono di area mediterranea. In Italia si trovano allo stato selvatico le specie Arvensis e Suffruticosa; la specie officinalis, coltivata ovunque per ornamento, può crescere da 0 a 600 m. sul livello del mare. Diverse specie di Calendula sono utilizzate come pianta ornamentale per decorare i giardini o in vaso sui terrazzi; alcune specie sono coltivate industrialmente per la produzione di fiori recisi.

Utilizzo: I fiori di Calendula officinalis sono utilizzati come rimedio Fitoterapico per le loro proprietà antispasmodiche e cicatrizzanti; l’uso locale è efficace per le punture di insetti e zanzare, contro il veleno delle meduse.

In Omeopatia viene consigliata per uso esterno come antisettico locale in caso di ustioni e di cure dentarie. Per uso interno come analgesico, emostatico e antisettico (ulcere infette)

Curiosità: viene spesso utilizzata anche in ambito gastronomico, per colorare piatti e insalate e come succedaneo dello zafferano. Nel linguaggio dei fiori questa pianta rappresenta il dispiacere e il dolore d’amore.


China rubra o Cinchona succirubra 

E' “l’albero della China” un genere di piante che appartiene alla famiglia delle Rubiaceae e cresce nell’America del sud, comprende molte specie conosciute col nome di China, con proprietà febbrifughe attribuite agli alcaloidi presenti nella corteccia (chinina, chinidina e chinicina).

Storia e Leggenda: Importata dal Perù nel XVII secolo, la China divenne nota per la sua efficacia nel trattamento delle febbri intermittenti. Una prima traccia di questa pianta e delle sue virtù pressoché miracolose ci viene da uno scritto in latino di Joseph de Jussieu ( Parigi 1704 – 1779) medico, botanico francese, inviato da re Luigi XV in missione nelle Americhe, che nel 1735 visitando il paese di Loxa (o Loja)  in Perù, scoprì l’ampio utilizzo per le febbri ricorrenti, tipiche di quelle zone, della corteccia della pianta di China (quin-quina). Ma furono i Padri Gesuiti nella persona di padre Bernabè Cobo (Spagna 1582 - Lima 1657), che esplorando Messico e Perù riportò la pianta del chinino in Europa.

Era il 1632 quando le bacche della pianta di chincona, nome indigeno dell’albero dalle China, vennero portate da Lima in Spagna, e poi a Roma e quindi in altre parti d'Italia; si diffuse così ampiamente l’utilizzo della “pulvis gesuiticus” o “polvere dei Padri”. Un’altra leggenda, un po’ controversa, narra invece, che il nome della pianta derivi dalle cure con rimedi indigeni a cui venne sottoposta, nel XVII secolo, la contessa Ana de Osorio Chinchón, la moglie del vicerè del perù, per la febbre intermittente dalla quale era affetta. Sempre secondo questa tradizione, la contessa, per ringraziare della guarigione dispose la cura dei poveri di Lima e fece pubblicità alla “polvere della contessa” anche in Spagna(1640).

Ma il chinino, principio attivo, venne estratto dalla corteccia dell'albero della china, e così chiamato solo nel 1817-20, dai ricercatori francesi Pierre Joseph Pelletier e Joseph Bienaimè Caventou. La prima apparizione in Italia data 1612, ma solo un secolo più tardi nel 1712 Federico Torti (Modena 1658 – 1741) medico anatomista, descrisse, in un ampio trattato sulle Febbri perniciose, le caratteristiche del medicinale e l'uso medico-terapeutico e nel 1906 l'importante rivista medica «Lancet», scrisse sull’azione dei Padri Gesuiti nella diffusione della terapia anti-malarica.

Linneo (Rashult, 1707 – Uppsala,  1778), successivamente, nella sua classificazione e repertorializzazione dell’alberodella China, in onore della Chinchón, gli diede il nome di genere Cinchona.

Specie conosciute sono:
  • Cinchona succirubra (china rossa) o China rubra per il colore rosso delle infiorescenze.
  • Cincona calysaia
  • Cinchona officinalis, se ne ricava il chinino.
  • Cinchona pubescens

Proprietà: antimaliarico, antidolotificoe antifebbrile: ad alte dosi e solo su prescrizione medica, oggi si utilizza il chinino o ed i suoi derivati.

Amaro tonico e digestivo: a piccole dosi, in soluzioni alcoliche edulcorate ed aromatizzate In erboristeria è utilizzato per contrastare gli effetti negativi della pressione bassa.
In Cosmetica
si impiegano gli estratti per frizioni contro i capelli grassi.

Medicina Allopatica

  • Il chinino è un potente farmaco efficace contro le quattro specie del Plasmodium agente eziologico della Malaria in tutte le sue forme. Il Plasmodi sono dei parassiti del sangue, trasmessi dalla puntura delle zanzare del genere Anofeles,  endemiche in molte aree geografiche del Mondo come Sud America Africa e Asia.
  • È stato il farmaco principalmente usato per la cura e la profilassi della malaria fino alla scoperta della clorochina. Oggi sta tornando come rimedio principe in quanto verso la clorochina si sono manifestate importanti e diffuse resistenze.
  • Effetti collaterali : è simile alla chinidina (farmaco anti-aritmico), può dare aritmie fatali, è, quindi, controindicato nei pazienti con disturbi della conduzione cardiaca o in terapia con digitale.

 

USO in Omeopatia: Rimedio di fondamentale importanza per le sue virtù curative, fu il primo medicinale sperimentato da Samuel Hahnemann (Germania 1755 – Parigi 1843), nel 1970, per dimostrare la veridicità della Teoria della Similitudine, già enunciata da Ippocrate, che diventò il fondamento dell’Omeopatia. In particolare le diluizioni di China rubra trovano applicazione:

  1. Debolezza generale dopo perdite abbondanti di liquidi (emorragie o diarrea)
  2. Anemia da perdite ematiche
  3. Astenia dopo una fatica, eccessi sessuali o dopo eccessiva sudorazione
  4. Gonfiore addominale e meteorismo (di tutto l’addome)
  5. Diarrea indolore, spossante con flatulenza
  6. Epistassi ed emorragie mestruali
  7. Ronzii auricolari

 

E: Euphrasia officinalis  

E' un genere di piante appartenenti alla famiglia delle Orobanchaceae, dall'aspetto di piccole erbacee annuali o perenni e dai piccoli fiori bianco-lilla. Il nome di questo genere Eupharsia venne introdotto nella classificazione delle piante da Linneo nel 1735 ed è derivato da un vocabolo greco il cui significato è “diletto, gioia”. In altri testi si fa riferimento a una delle Tre Grazie , chiamata appunto “Eufrosine”, figlia di Zeus. Le piante di questo generesono definite “emiparassita” : perchè vivono sulle radici di altre piante per prelevare acqua e sali minerali, sono capaci di svolgere la funzione clorofilliana al contrario di altre piante dette “parassite assolute”.

L'altezza di queste piante varia da pochi centimetri fin quasi a 50 cm. Sono piante annuali, che superano la stagione avversa sotto forma di seme. I fiori sono ermafroditi, il colore è : bianco, lillacino, violetto, giallo o purpureo con striature longitudinali generalmente violacee più scure e una macchia chiara o gialla al centro della corolla. Esistono circa 17 specie spontanee di Euphrasia e di queste 13 specie vivono sull'arco alpino.

Proprietà farmacologiche: Le proprietà farmacologiche di queste piante (derivate soprattutto dalla medicina popolare antica) sono tutte riconducibili ad un'unica specie: Euphrasai rostkoviana chiamata comunemente Eufrasia officinale. Il nome di Euphrasia officinalis dato inizialmente da linneo, sembra sia in realtà un nome collettivo di più specie affini e poco distinguibili. In effetti la variabilità delle specie di questo genere è molto marcata creando non poche difficoltà ai vari botanici. Per questa specie e quindi per tante altre specie simili dello stesso genere sono indicate fin dai tempi antichi le seguenti proprietà curative  : tonica, digestiva, astringente, diuretiche e vulneraria.

I particolare l'Euphrasia officinalis era considerata tonico-risolutiva e rafforzativa della memoria nonché oftalmica. A questo proposito sembra che gli estratti di questa pianta possano alleviare le infiammazioni della congiuntive e blefarite.
USO in Omeopatia : per infiammazioni oculari quali congiuntiviti allergiche ed infettive, raffreddore da fieno, virosi e morbillo.

 

G: Gelsemium sempervirens

Gelsomino giallo o gelsomino o jessamine è una pianta rampicante della famiglia delle Loganiacee, originaria degli Stati Uniti, è altamente velenosa e di essa si utilizzano le radici fresche e la corteccia dei rizomi. Può crescere fino a 3-6 m di altezza quando trova un sostegno idoneo per arrampicare. Le fogliesono sempreverdi, lanceolate, lunghe 5-10 cm di lunghezza e 1-1,5 cm di larghezza, lucenti, di colore verde scuro. I fiori sono a carico in cluster, i singoli fiori gialli, a volte con un centro di colore arancione. I suoi fiori sono fortemente profumati e producono il nettare che attira una gamma di impollinatori.

Tossicità: Tutte le parti di questa pianta contengono i tossici : Stricnina e relativi alcaloidi : gelsemina e gelseminine, che  non devono, quindi essere consumati. La linfa della pianta può provocare irritazione della pelle in individui sensibili. I bambini, scambiando questo fiore di Caprifoglio , sono stati avvelenati da succhiare il nettare dai fiori. Il nettare è anche tossico per le api , con conseguente morte dell’intero alveare.

Uso medico: Storicamente Gelsemium sempervirens è stato utilizzato come topico per trattare eruzioni papulosa. In dosi non omeopatiche provoca disturbi muscolari che possono condurre alla paralisi, difficoltà respiratorie, panico, affaticamento e, in dosi elevate, anche morte.

Uso in omeopatia: Il Gelsemium Sempervirens è un prodotto estratto dal gelsomino giallo, appartiene alla famiglia delle Loganiacee, la stessa della Nux vomica e dell'Ignatia amara e come queste altamente velenosa, di essa si utilizzano le radici fresche e la corteccia dei rizomi. 

Il Gelsemium è il rimedio caratteristico della paura e del panico, fa parte della “triade per la paura”
In Omeopatia viene anche caratterizzato il "tipo" Gelsenium come un soggetto apprensivo, timido, emotivo ed insicuro, spesso incapace psicologicamente di affrontare eventi anche poco significativi. Qualsiasi avvenimento gli provoca tremori, lo "blocca" nel vero senso della parola e gli impedisce di pensare o di parlare. Il suo più grande incubo è quello di dover parlare davanti ad un pubblico. Può anche aver paura di prendere un aereo o in ascensore. Desidera stare da solo ed essere lasciato in pace.

A livello terapeutico il Gelsemium cura, secondo la classica legge omeopatica dei "simili": 

  • la febbre ad insorgenza progressiva con brividi causata da esposizione al freddo, con dolori muscolari, assenza di sete, sudorazione abbondante, sensazione di prostrazione con tremori
  • la cefalea occipito-frontale con irradiazioni dei muscoli del collo e delle spalle e dolore ai bulbi oculari e disturbi visivi - l’ansia paralizzante di anticipazione ( prima di affrontare un esame o una prova importante) - la diarrea di origine emotiva - l’incoordinazione motoria - la perdita di memoria - i tremori (dal tremore emozionale, al tremore del Parkinson) - le eruzioni cutanee - l’insicurezza.

 

Leggi la seconda parte dell'articolo sule principali piante di uso clinico in Omeopatia e Fitoterapia