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Decrescita: mito o realtà attuabile?

La risposta non la troverete in queste poche righe, ma uno spunto di riflessione forse sì: la "decrescita" è solo un mito o una realtà davvero attuabile? Informiamoci e partecipiamo nel nostro piccolo

Decrescita: mito o realtà attuabile?

Riportata a caratteri cubitali, la definizione di "decrescita" appare nell'omonimo sito web ad essa dedicato, "decrescita s. f. Svolta riflessiva per la ricerca relazionale, personale e collettiva di una qualità della vita sganciata dall’ossessione per la crescita e dalla corsa alla produzione, al possesso e al consumo di merci". Ma scopriamo di più sull'argomento.

 

"Decrescita" cosa significa

"Decrescita" è da tempo anche sinonimo di una serie di movimenti, comunità, modi di pensare la vita a livello politico, economico e sociale favorevoli alla riduzione controllata, selettiva e volontaria della produzione economica e dei consumi, con l'obiettivo di stabilire relazioni di equilibrio ecologico fra l'uomo e la natura, nonché di equità fra gli esseri umani stessi.

Tra i teorici del cambiamento possibile e auspicabile e quelli convinti che la decrescita felice sia solo un'utopia, cerchiamo di vederci chiaro e di capire come, nel nostro piccolo, si può attuare.

Certi che l'argomento fuoriesce ampiamente da una semplice pagina web e che a tavolino troverebbero miglior posto dibattiti tra esperti del settore.

 

La decrescita e i suoi pionieri

L'economista Serge Latouche è uno dei principali fautori della decrescita, uno dei primi a urlare a squarciagola frasi del tipo "stiamo producendo e consumando troppo! Dobbiamo fermarci!". Sì, perché il punto principale che vogliono mettere in rilievo i teorici di questo movimento, che ha preso il via agli albori del secondo millennio, è la necessità di un'inversione di tendenza, una sterzata, o meglio una retro marcia, rispetto a certi modelli di comportamento e certe abitudini.

Decrescita è sinonimo di consumo giusto, equo e necessario, di lentezza e di semplicità del vivere, di assecondamento dei ritmi naturali e del loro armonico intersecarsi con quelli dell'uomo, nell'ottica della giustizia sociale e dell'autogoverno dei territori, altrimenti votati, secondo gli stessi autori, all'autodistruzione.

Non solo Latouoche: i favorevoli alla decrescita possono seguire anche il pensiero di Tim Jackson, economista e professore di Sviluppo sostenibile all'Università di Surrey, Inghilterra; possono conoscere le parole di Berlinguer e di Pasolini (in "Scritti corsari", per esempio); leggere "La convivialità" del filosofo austriaco Ivan Illich; André Gorz, e, indietro nel tempo, pensatori quali Rilke, Thoreau, Rousseau e ultimo, ma non per importanza, Castoriadis, il cui pensiero è approfondibile leggendo il testo di Latouche "Cornelius Castoriadis, l’autonomia radicale". Questi sono solo alcuni.

 

Perché è una realtà attuabile

Chi crede che la decrescita sia una realtà fattibile, felice e attuabile ha già messo in atto una serie di comportamenti, che prendono il nome di:

e tanti altri nomi ancora.

Non è difficile capire, guardandosi intorno, che ci sono persone, spesso più giovani, che hanno "naturalizzato" certi comportamenti positivi e sostenibili; mentre sono le vecchie generazioni, quelle abituate a un maggiore consumismo, quelle generalmente più restie al cambiamento, meno "sociali" e meno disposti alla condivisione.

La riflessione successiva, al di là delle scelte comportamentali di ognuno, riguarda tuttavia il fatto che certi modi di agire e orientamenti sostenibili di vita rientrano ancora nelle attuali logiche di mercato. Per cui, più che di decrescita, si potrebbe forse parlare di "crescita parallela e sostenibile" all'interno di un mercato che ha determinate regole. Altrimenti si rientra nell'ambito di "realtà altre", comunità e gruppi di persone che hanno deciso di estraniarsi dalle logiche di mercato attuali (Auroville in India ne è un grande esempio).

C'è da interrogarsi quindi: il vero cambiamento è una svolta rivoluzionaria radicale o si può procedere per gradi anche all'interno di date logiche di mercato, scalfendone piano piano i meccanismi che non funzionano dall'interno?

Ecco l'intervista di Marco Aime a Serge Latouche, che può sciogliere molti dubbi. Inoltre, allo stesso scopo, Latouche dirige la collana "Precursori della decrescita" (Jaca Book).

 

Può interessarti anche l'intervista a Cinzia Picchioni, autrice del libro "Consigli contro gli acquisti"

 

 

Perché è un'utopia irrealizzabile

Leggendo posizioni opposte sul web, c'è chi considera la proposta di Latouche "una proposta di una povertà concettuale sconcertante, tanto da domandarsi come ha fatto un’idea del genere ad attrarre tanti seguaci" (cit. da Il Foglio), e c'è chi dubita e si chiede se per caso "decrescita" non sia una delle tante "parole amebe" (cit. da Il Corriere) che riempiono i vocabolari attuali.

Decrescita in effetti come termine e definizione non piace a molti, il contenuto è buono, ma il contenitore stona. Chi non crede nel "torniamo ai campi e viviamo di agricoltura" sembra credere invece, schierandosi con Voltaire, che il il progresso abbia portato a scoprire e imparare tante cose nuove, utili alla società. Che insomma non tutto si deve buttare. Che il termine più adatto sarebbe forse "crescita sostenibile", non decrescita.

Che, nello specifico, l'Italia ha tanto da lavorare per modernizzarsi e stare al passo con altri paesi, nord Europa per esempio, dove certi modelli funzionano e sono accolti da tutti i cittadini. Forse sarebbe più giusto lavorare su una crescita effettiva sociale, chiedendosi perché, per esempio, il car sharing a Milano funziona, mentre in altri luoghi o città della penisola è ancora una lontana utopia.

La decrescita quindi è un'utopia irrealizzabile di stampo roussioniano per molti proprio perché ormai non si possono fermare gli ingranaggi di una data economia e soprattutto perchè non tutta la società (islandesi a parte!) è pronta a farlo.

 

Come sentirsi fautori di un sano progresso

Resta il fatto che, nella vita pratica, nel quotidiano, non sempre è facile rendersi protagonisti di una, come si vuole chiamare, crescita sostenibile, decrescita o sano progresso.

Spesso chi ci prova viene tacciato di fanatico ecologista (tanto anche l'ecologia è un business!) o di invasato del prodotto a chilometro zero; spesso i ritmi di vita conducono l'uomo a fermarsi, tornando da lavoro, al supermercato lungo la strada e comprare lì la busta di insalata pronta, piuttosto che andare al mercato biologico il sabato o rifornirsi in cascina dal contadino in determinati orari.

O ancora le stesse condizioni di lavoro obbligano a utilizzare l'auto per muoversi, invece che incentivare l'impiego di mezzi locali o implementare l'uso del web per lavorare da casa. C'è ancora tanto che rema contro le migliori volontà di ognuno. Ma c'è anche tanto che si può fare. Indubbiamente, armarsi di pazienza, cercare di rallentare i propri ritmi, consumare meno ma meglio, impattare meno che si può sul territorio. Poi parlare, fare girare la voce, comunicare, informare: comprate il detersivo, non la plastica che lo contiene!

Leggi anche come attuare la decrescita a partire dalla scuola

Per approfondire:
> Vai al sito di Decrescita.it