Intervista

Mercato delle diete veloci: un business all’ingrasso di cui non abbiamo bisogno

Lo psichiatra e nutrizionista Stefano Erzegovesi spiega perché digiuno e alimentazione sostenibile funzionano meglio dei programmi di diete commerciali, pericolosi e inaffidabili.

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Non è ormai più vero, come leggo, che il giro d’affari del mercato delle diete in un anno soltanto negli Stati Uniti ammonti a 50 miliardi di dollari. Il dato è sottostimato e da aggiornare secondo Stefano Erzegovesi, medico psichiatra e nutrizionista già direttore del Centro per i Disturbi alimentari dell'Ospedale San Raffaele, che ci tiene a dare un elemento per comprendere meglio il fenomeno: “il business funziona grazie ai repeat customers, ossia clienti che acquistano più volte pacchetti e prodotti per dimagrire o trovare un peso forma. A costoro non viene proposto un percorso di salute quanto piuttosto è innescato un continuo bisogno di nuove soluzioni a breve termine, alla lunga inefficaci”. Consumatori compulsivi e seriali di diete, azzardo io. Ma perché?

 

In un suo recente libro “Che cavolo di dieta” (Solferino, 2022), Stefano Erzegovesi propone la via per comprendere come mangiare in modo equilibrato, rispettoso dell’ambiente e anche gustoso senza fare troppi sacrifici ma imparando, piuttosto, a concentrarsi su come i sapori naturali portino benessere a più livelli. Anche di questo parlerà a Macrolibrarsi Fest il prossimo 24 settembre nel workshop dal titolo “Digiuno e alimentazione sostenibile”.

 

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Come (non) funzionano le fast diet, le diete veloci?

Perché si ricorre più volte all’acquisto di pacchetti e prodotti per dimagrire se si acquisisce un metodo?

“Albert Stunkard, uno psichiatra americano grande esperto di alimentazione, ripeteva spesso ai suoi allievi che ‘inneggiare alla forza di volontà, in un percorso di cura, fa stare molto bene i medici ma fa stare molto male i pazienti’ - premette il medico -: la forza di volontà come unico fattore di cambiamento è totalmente sopravvalutata quando si parla di sana alimentazione. Noi potremmo sforzarci di non mangiare certe cose ma, sul lungo periodo, questo sforzo iniziale sarà inefficace.

 

Nel mercato delle diete, infatti, la forza di volontà prima o poi viene meno: la persona pensa di essere “debole" (e compra altri pacchetti dimagranti e prodotti dietetici) ma va detto che la parte più antica del nostro cervello conserva, in ognuno di noi, dei potenti meccanismi “anti-carestia”: nei cibi dolci, grassi e salati troviamo le componenti per immagazzinare risorse che in passato ci sono servite per far fronte ai periodi più difficili. Oggi abbiamo disponibilità di cibo continuamente ma questo meccanismo resiste e ci fa protendere verso ciò che, guarda caso, consumiamo velocemente e compulsivamente.

 

Non basta dire 'Voglio disattivare questo meccanismo' per mangiare meno cibi elaborati e processati, però. Occorre lavorare su quella che potremmo chiamare l’"architettura" delle nostre abitudini, non soltanto alimentari: come facciamo la spesa? Come la ordiniamo negli scaffali a casa? Come apparecchiamo la tavola? Ogni abitudine può aumentare o diminuire gli “automatismi" che mettiamo in pratica ogni volta che mangiamo. Questo aspetto è molto importante quando si lavora con chi soffre di disturbi alimentari, ma è importante per ognuno di noi. Per non cedere al paradiso della densità calorica quando acquistiamo gli alimenti, abbiamo dalla nostra parte la consapevolezza dei nostri bisogni e del senso di benessere che i cibi naturali possono trasmettere”.

 

Il marketing del cibo facile lavora dovunque. Come difendersi?

"Noi siamo geneticamente portati a cercare alimenti ricchi di calorie - chiarisce il medico psichiatra -, siamo circondati da alimenti ricchi di calorie che alla lunga diventano “droganti" tanto che, alla fine, ci sembra di arrenderci ai cibi meno salutari. In realtà no. 

 

Alleniamo la consapevolezza prendendoci del tempo per fare ogni tanto questo esperimento: 

  • Scegliamo un prodotto naturale, semplice, come un piatto di riso integrale con un filo di olio di oliva. Mastichiamolo lentamente, impieghiamo più tempo di quanto ne servirebbe per sentire i suoi sapori. Se ci diamo anche solo 30 secondi noteremmo come le consistenze cambiano, la rottura delle fibre sprigioni dei sapori buoni, quasi dolci e, alla fine, sentiremo il sapore che cambia e che ci lascia in bocca sensazioni positive.
  • Ripetiamo lo stesso esercizio con un prodotto commerciale come una patatina salata in busta, ad esempio. Sentiremmo retrogusti sgradevoli giungere nel giro di qualche secondo, sentiremmo la scarsa qualità dell’olio di cottura e l’aroma alla fine stucchevole dei condimenti industriali. Solo masticando un po’ di più, avremmo scoraggiato il nostro desiderio di cibo “facile”, pensato per essere, appunto, divorato e non assaporato.

 

Un altro approccio utile alla consapevolezza è il cosiddetto digiuno intermittente fisiologico 12-12:

  • Si tratta di far passare tra la cena e la colazione del giorno dopo 12 ore senza mangiare. I benefici per l’organismo si sentono già in pochi giorni: il palato apprezza con più facilità i sapori semplici, ci si alza con più energie al mattino, si sente la bocca meno amara e si riposa meglio. Questo perché l’alimentazione sana non ha come scopo l’assenza di malattie ma l’obiettivo di salute fisica e mentale migliore possibile, oggi e per tutta la vita.

 

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Diete veloci e alimentazione sostenibile

“La variabile tra dieta commerciale aggressiva e stile di vita sano risiede innanzitutto nel tempo in cui un obiettivo viene promesso di essere raggiunto - chiarisce il medico -: anche un’alimentazione sana e sostenibile fa dimagrire, ma non nei tempi di una dieta che ti dice che in 15 giorni perderai i chili che desideri in vista dell’estate, ad esempio. Molti di questi programmi alimentari non sono contemplati per essere seguiti per lungo tempo, sarebbero dannosi per la quantità spesso elevata di proteine animali che vengono proposte e non portano a instaurare abitudini alimentari sane e che facciano stare bene la persona sotto più punti di vista”.

 

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Cosa manca alle diete commerciali che invece un’alimentazione sostenibile possiede?

“Una dieta sostenibile va intesa come rispettosa di diversi ambienti: il microambiente, quello del microbioma, l’ambiente del nostro intero organismo inteso come sistema complesso di cellule e il macroambiente del pianeta in cui viviamo” chiarisce Erzegovesi. 

 

"Un’alimentazione mediterranea povera, con prevalenza di alimenti semplici di origine vegetale ha un potente effetto protettivo contro l’invecchiamento, le malattie croniche, il decadimento cerebrale, migliorando inoltre la risposta allo stress, all’ansia e alla depressione - aggiunge il nutrizionista -. Queste evidenze non esistono nelle fast diet che, appunto, non guardano a una salute complessiva e a lungo termine per l’individuo. Questo non significa, però, che mangiare sano non faccia dimagrire, anzi”. Semplicemente i tempi non sono quelli sbandierati dalle fast diet, ma quelli di Madre natura, aggiungo io.

 

Alimentazione pianeta salute o Dieta planetaria

Quale cibo nell’era dell’antropocene? Una proposta è stata fatta su The Lancet, nel 2019 col nome di dieta salute pianeta, anche nota come Dieta della salute planetaria.

 

“In sintesi, questo approccio ribadisce come per far fronte all’accesso al cibo per tutti gli esseri umani nel rispetto degli equilibri ecosistemici del pianeta, la nostra alimentazione dovrà comporsi per il 50% di prodotti di origine vegetale, con una riduzione drastica di zuccheri, latte e derivati e proteine di origine animale”. La proposta è stata pensata per essere patrimonio di tutti almeno come conoscenza per l’orientamento alle proprie scelte di consumo, ma ancora oggi sono in pochi a intuire le potenzialità di salute per noi e per la Terra”.

 

Qui si gioca l’altra variabile fondamentale per Erzegovesi quando si parla di scelte alimentari: la libertà. Libertà di poter consumare cibi di qualità, libertà di non dipendere dalle mode e dal mercato, libertà di poter nutrirsi adottando il buon senso e senza condizionamenti che fanno leva sui nostri istinti più primitivi. Libertà è pensare che esiste un modello alimentare che non si inventa dal nulla solo ed esclusivamente per noi. Così lo spiega Erzegovesi: "nelle Zone Blu, le cinque aree del pianeta a più alta concentrazione di centenari in salute, le persone hanno una alimentazione di buon senso, dove si mangia di tutto ma dove la base alimentare quotidiana è vegetale (cereali poco raffinati, legumi, verdura, frutta, noci e semi). Tutte le tradizioni alimentari nel mondo prevedono un pranzo conviviale “della festa” dove si mangia in modo vario e ricco, dove si rispetta una ciclicità degli ingredienti e dove ad alcuni cibi viene riservato ancora il ruolo di “piatto delle grandi occasioni” (ad es. un cibo fritto).

 

Un grande studio condotto in una città del Minnesota mi dà fiducia: si è provato ad adottare negli Stati Uniti il modello sociale e alimentare delle Zone Blu, in cui oltre a quanto detto, la socialità è messa al primo posto, gli anziani sono invitati ad avere un ruolo di responsabilità e attivo verso le giovani generazioni, nessuno è lasciato solo. L'esperimento ha funzionato, si può vivere mirando alla longevità felice anche se non si è nati o cresciuti in una Zona Blu".