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Alla ricerca del Sé nelle arti marziali

Dimenticatevi i corsi di arti marziali sportive nelle palestre, dimenticatevi i film e i tornei. Dove si nasconde il Sé? questa misteriosa entità così assiduamente ricercata dalle prime scuole di arti marziali? E perché le arti marziali sarebbero un mezzo consono alla sua ricerca? Facciamo chiarezza sul tema

Alla ricerca del Sé nelle arti marziali

In tutte le culture possiamo rintracciare una qualche forma di ricerca del Sé, della vera natura dell’esistenza. In modo più o meno raffinato, in modo più o meno elaborato, molte sono state le vie per raggiungere questa condizione così denominata. È una ricerca con un che di mistico, talvolta di religioso o addirittura spirituale.

In Oriente, specialmente nel passato, prima del Jainismo e del Buddhismo, il corpo era incluso in queste pratiche e in questa ricerca, e pare proprio che le arti marziali, nel loro aspetto più mistico, siano state originate dal viaggio del monaco indiano Bodhidharma in Cina, nazione che assunse il ruolo di perfetto vivavio per lo sviluppo di innumerevoli forme di arti marziali raggruppate sotto il nome generico di Kung Fu.

 

Sé ed ego

Ma quali sono quindi dunque le caratteristiche di una ricerca del Sé improntata sulle arti marziali? Cominciamo dal cuore della faccenda, questo famigerato e sfuggente “Sé”, impossibile da definire e rappresentare. Stando a quanto ne dice chi lo ha realizzato, il Sé è una condizione di pura esistenza, oltre la volontà individuale, oltre i limiti della personalità frammentata, con una radice al di fuori del tempo e dello spazio, incondizionatamente amniotica e maieutica al contempo.

Pare che il Sé comincia dove finisce l’ego, la peronsa limitata, identificata coi meccanismi ignoranti della natura inferiore, incostante mulinello di forze automatiche senza cognizione dell’infinito che le contiene e le costituisce.

Cosa deriva da questa distinzione? Ne deriva che per raggiungere il Sé si è sempre tentato di annullare l’ego e ogni interesse per la persona di facciata, persino per la sua stessa sopravvivenza, segno distintivo comune di tutte le forme di vita su questo pianeta che invece si basano proprio sull’istinto di sopravvivenza come primo comandamento.

 

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Il Sé al di là del combattimento

Uno dei modi di testare la propria non curanza per l’ego e di verificare il proprio stato di coscienza era dato dal darsi battaglia. Il combattimento, per via dell’origine evolutiva animale che ne ha gettato le basi, provoca immediatamente emozioni ancestrali ed esalta, tramite l’adrenalina ed altri ormoni, l’istinto violento o la paura, l’istinto del cacciatore, del predatore, del dominatore, del protettore del branco, del maschio alfa che necessita di mostrare la propria forza.

In poche parole, il combattimento ci riconnette al nostro passato evolutivo animale, che è solo coperto da un sottile strato mentale, civile e sociale, pronto a farsi da parte non appena l’adrenalina evoca il combattimento e la prossimità alla morte. Questa è la prima realtà che scopriamo: siamo solo animali in giacca e cravatta, pronti ad assaltarci come leoni o a fuggire come gazzelle alla prima occasione.

L’ego animale sembrerebbe la nostra natura profonda, ma dietro questa profondità ce n’è un’altra, più vasta, fatta di un’eternità capace di guardare la morte dall’alto in basso, senza turbamento. Ecco il Sé, la pura esistenza disindividualizzata, non attaccata ai limiti della persona, alla sua vita o alla sua morte, che sono solo perle di una grande collana, l’andirivieni di una grande giostra dove tutto assume una collocazione precisa e quindi un senso.

Ecco allora che tramite l’allenamento il vero artista marziale cerca questa condizione proprio nell’infuriare della battaglia, in piena adrenalina, perché solo quando la morte è prossima possiamo sapere se la temiamo o meno, se ne siamo succubi o padroni, al di là delle filosofie pronte ad evaporare alla vista del sangue.

 

Il sé nelle arti marziali: fuga e trasformazione

Chi realizza il Sé non teme la morte quindi, gli è indifferente come si può essere indifferenti all’approssimarsi della notte e quindi del sonno, consapevoli che al mattino seguente potremo continuare la nostra vita.

Ma qui sorge una distinzione: alcuni ricercatori sono soddisfatti dal raggiungimento della condizione del Sé data dall’abbandono dell’ego e della cura della propria vita individuale chiusa in una struttura spaziotemporale, spesso ritenuta un’illusione, un errore o un riflesso distorto di una vita migliore in qualche al di là; e allora si cerca il Sé tramite un completo annullamento dell’ego e quindi della possibilità di agire in questa realtà relativa dal punto di vista del Sé.

Con le arti marziali invece, l’ego necessita una qualche attività, il corpo è curato sebbene pronto ad essere lasciato, si cerca la perfezione sebbene si sia pronti alla sconfitta. In qualche modo l’ego viene subliminato e il Sé può agire attraverso di esso come agente trasformatore della realtà.

Riprendendo l’analogia del sogno, non si tratterebbe più quindi di fuggire da un incubo ma di mutarlo in un bel sogno una volta raggiunta la consapevolezza di star sognando.

 

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