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Le discipline psicofisiche, la modernità e gli squali

Come una disciplina millenaria praticata in contesti specifici può aiutarci a stare anche nella modernità? Cosa significa continuare a "tenere duro" quando tutto intorno ci insegna che l'elastico e il morbido non si spezzano? Perché il piano e il piccolo sembrano non avere spazio rispetto al forte e al tanto?

Le discipline psicofisiche, la modernità e gli squali

La pratica apre spazi interiori e ci rende più arresi, in qualche modo, se davvero comprendiamo il sentire. Questo sta accadendo a me, almeno. Ma... andare dentro significa infragilirsi? C'è un mondo intorno che ci chiede di stare attivi, con la risposta pronta, il veleno per attaccare, quando qualcuno ci attacca e nemmeno si capisce bene perché.

 

Le difese immunitarie e le presunte difese agli attacchi

Mettendo in discussione la personalità (non dico annientandola - non siamo illuminati) si abbassano le difese. Ma se lo yoga fa bene ci deve insegnare anche a vivere tra gli squali? Allora perché ultimamente ho davvero difficoltà a relazionarmi in certi contesti? Se le difese immunitarie si alzano con la pratica, perché quelle dell'ego, cedendo, ci lasciano spesso in situazioni per cui è facile esser scambiati per troppo arrendevoli, silenziosi, meditativi, per aria? Anche qui, quanto conta davvero quel che gli altri pensano di noi? Ma se ci attaccano, cosa dobbiamo fare?  

Ho come la sensazione che la cosa più grande che si possa imparare dalla saggezza, vedica o taoista, sia l'ironia. Poi, lo sappiamo, ma come si fa a concretizzarlo, ci vuole equilibrio. E fin qui ci siamo. Ma io mi riferisco a un reale disinteresse a entrare in certe dinamiche. Facciamo un esempio. Togli tutte le carenature dalla macchina, i lustrini fighi; ti ritrovi a girare tra grandi suv lucidi e megalitici attrezzi a quattro ruote, guidati da altrettanti impegnati ad apparire. Le rotatorie però esistono e le precedenze esistono.

Quale sia il tuo mezzo, le regole ci sono. In questo paese non è nemmeno così, non lo è mai stato. E' questo che mi crea difficoltà. Che cioè davvero l'auto che hai cambia la prospettiva degli altri guidatori e autorizza i più brilloccosi e carenati a fare come vogliono. E' anche il principio di una vittoria politica che dura da vent'anni e di cui alcuni non si capacitano.  

L'impatto estetico per la sottoscritta conta, ma sto sempre più lasciando andare un certo approccio fitness al movimento. Perché? Perché mi sono fatta male, perché non me ne fregava una mazza dell'altro, perché ho praticato in America dove il tappetino figo conta, perché sto facendo due dialoghini con la morte da un annetto. 

Prendete due orette qualsiasi di un pomeriggio qualsiasi e giocate a palla con amici con cui state bene e ridete. Giocare è il modo più bello per bruciare. Per tutto il resto c'è lo spirito, che anche in quel gioco lì ma che può essere raffinato anche attraverso pratiche di unione. Tutto intorno spinge verso il volume alto, il pompare i muscoli.

Fino a  poco tempo fa non capivo che questo mi creava disagio, ora credo sia perché da questo vengo e da questo mi son spostata, ma ho ancora i piedi dentro un certo movimento performativo. Nel frattempo ho scoperto i limiti del corpo con infortuni e vari e la paura che ti blocca. Sperimentando l'estrema sensibilità dell'intestino, il ruolo dell'intestino rispetto al centro motorio, esperendo lo stress cui i muscoli si ribellano a scattini, se gliene somministri troppo. 

Fate un movimento semplice, fatelo tante volte (ogni volta sarà - sopresa - diverso), state con chi vi fa ridere. E' ancora un mistero per me la ragione per cui alcune classi sono piene zeppe di gente in palestra e altre hanno due persone. Ma se quelle due persone le fai sentire, alla fine, più libere, le hai fatte ridere, hai oliato la colonna, non si sono fatte del male, hai abbassato le tue e le loro aspettative, beh, il lavoro è lì.

 

Senza possesso né parole blateranti

Proprio oggi la mia amica pittrice Julia Perry mi ha segnalato alcuni cortometraggi del Sundance Festival. Tra questi, The Apocalypse, scritto e diretto da Andrew Zuchero.

Ci sono dei ragazzi che si annoiano in un Sabato pomeriggio qualsiasi. Poi a uno viene un'idea e... gli esplode la testa. Il resto va avanti senza che ve lo dica, ma il punto, appunto, non avere idee. Muoversi nel mondo come stupidi o solo sull'onda dell'andare.

Va bene, qualcuno arriverà ad alzare la mano dicendo: ci vuole equilibrio tra la genuinità, l'innocenza e il lassismo e la ciarlataneria.

Capiteranno ancora situazioni in cui qualcuno ci attaccherà davanti ad altri. Accadrà ancora che le voci precedano la qualità del lavoro che mandiamo avanti.

Secondo Chatwin, il nomadismo è insito in noi e la poesia ci libera. 

Ripartire, imparare, dare di metafora. Se siamo tra chi è in una fase attacco/difesa allontaniamoci. Se ci dobbiamo stare per lavoro, intanto cerchiamo altro. Tutto prosegua nel flusso, basta che funzioni. Non siamo fossilizzati.

La valorizzazione del piccolo e del prezioso passa per la rivalutazione della non sedentarietà che nutre il privato e il possesso. Lo splendore del progetto personale di ciascuno aumenta se le parole non sono parole qualsiasi, ma sono ogni volta parte di un disegno, sono onde portate dal vento. In altre parole, portate dal respiro. 

Immagini | Ilsostenibile.it